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"L'eleganza è sorella dell'inutilità. Il quale apoftegma noi ci guarderemmo di enunciarlo se l'inutilità non fosse in questo caso piuttosto una utilità di ordine superiore, e dunque inapparente ai più. Come tutte le creazioni felici, la bicicletta è nata dalla grande, dalla feconda, dalla immortale idea del gioco. Anche le arti sono gioco e fanno tornare l'uomo al gioco, e non è strano che a chi le pratica o soltanto se ne diletta conferiscano un'aura di superiorità". Dedicato a chi "pensa" che coloro che pensano davvero siano aggeggi senza presa o incisività, mentre le foratissime ruote del nonsenso potrebbero avere anche manubri d'oro, ma non riuscirebbero a spingere una cimice tirata a lucido col loro bel movimento azzerato. Un titolo che vale da solo un trattato di rara sensibilità, poco più di venti pagine a sondare una gita nello stile e nel gusto di un vero scrittore, nei suoi antri geniali. Basta centellinare ancora poche righe: "La bicicletta è arrivata ormai allo zenit, è divinizzata. Se Giove avesse ancora autorità lo collocherebbe fra le costellazioni". Non siamo fra rotte poeticamente esaltate, l'autore "pedala" in una disamina tecnica che parte dal mediciclo e ricorda via via il biciclo con la grande anteriore e la piccolissima nel retro, datata 1855. Fino alla classica che conosciamo, "per quel ronzio d'oro che accompagna il suo moto, ed è ancora un silenzio nel silenzio. E' questa discrezione che fa della bicicletta l'amica dell'uomo di studio e di pensiero, la fedele compagna dell'umanista". Dolcissima amante degli inguini e delle prostate (come scherza deliziosamente Savinio), incantevole trabiccolo la cui alchimia nasce nella ferraglia per prestarsi poi alle più belle lentezze interiori, al volo dove lo sguardo diventa una presa d'amore fra paesaggi, vicoli, corti e stradine, in quel dentro che ancora chiama e sussurra, che accelera e distende insieme. Poema sulla cui canna la tenerezza si tiene nelle dita e nel sorriso di una donna. Meraviglia.
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