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Apparsa a puntate nel periodico udinese «L’Annotatore Friulano» tra il marzo e il maggio del 1856, la novella Il Varmo doveva confluire, nelle intenzioni dell’Autore, in una più ampia raccolta di racconti, il Novelliere campagnuolo, che tuttavia il Nievo non fece in tempo a pubblicare. A lungo negletto, tanto che si dovette attendere il 1929 per tornare a leggerne alcuni brani in un’antologia di opere del Nievo, e il 1945 per averne la prima edizione moderna, Il Varmo è stato ben presto “riscoperto” dalla critica, tanto da essere ora considerato uno dei racconti migliori dello scrittore padovano, e uno dei più apprezzati. Fulcro tematico della novella è la storia di Tina e Pierino, soprannominati la Favita e lo Sgricciolo, seguiti in un arco cronologico che va dall’adolescenza alla piena maturità. Il loro progressivo maturare a contatto con i dolori e le difficoltà della vita sono felicemente proiettati dall’A. sullo sfondo – mitizzato – di quella parte della campagna friulana bagnata dal fiume Varmo, il «fiumicello»che nella sua tranquilla corsa verso il Tagliamento diventa il muto testimone dei sogni e delle speranze, delle fatiche e delle miserie quotidiane dei protagonisti. Proprio il tono elegiaco, l’accento delicato e quasi trasognato con cui il Nievo tratta i due motivi, a lui carissimi, della fanciullezza e del paesaggio friulano, costituiscono alla fine il pregio maggiore di questo racconto, che non per nulla prelude, più di ogni altro, alle Confessioni.
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