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Dettagli

4
1998
Tascabile
1 gennaio 1998
544 p.
9788804460619

Voce della critica


(recensione pubblicata per l'edizione del 1988)
recensione di Fink, G., L'Indice 1988, n. 7

Siamo di fronte, con l'ammirevole e certo faticatissima versione italiana di questo romanzo israeliano già annunciato e discusso dalla stampa inglese, francese e tedesca, alla prima fase di una escalation internazionale verso l'olimpo dei best-sellers? O a un oggetto scomodo, ingombrante, che quasi nessuno leggerà fino in fondo? O a tutte e due le cose insieme (non mancherebbero autorevoli precedenti)? Sconcertato dalle complessità strutturali e dalle sconfinate ambizioni del libro - questo Grossman, santo cielo, ha appena trentaquattro anni: perché non si accontenta di un minimalismo ben temperato? crede forse di essere un nuovo Kafka, o magari la reincarnazione di quei "K" o "J", come i moderni studiosi chiamano, in mancanza di altre informazioni, gli estensori del Genesi e di altri testi sacri? - il lettore di professione comincia, tanto per riordinare le fila, a rintracciare le citazioni e a risolvere i quiz intertestuali: ci sono i patriarchi della narrativa jiddisch, come Mendele M. Sforim, e i romanzi avventurosi e dozzinali di Karl May, e quell'"Emilio e i detectives" che tanto piaceva ai ragazzi negli anni trenta, e soprattutto Bruno Schulz, che invece di morire nel 1942 a Varsavia subisce una sorta di metamorfosi acquatica e se ne va insieme a un branco di salmoni nelle accoglienti profondità marine. In secondo luogo - ma la questione in realtà è prioritaria - c'è la rete intricata dei rapporti fra narratori e destinatari, da fare invidia al più lambiccato John Barth o al Nabokov di "Fuoco pallido". Da principio, in Israele, c'è il piccolo Momik, che si vede recapitare a domicilio il vecchissimo nonno Wasserman, e cerca come può di captare qualcosa dei suoi misteriosi ricordi del passato e di "Quel Paese Lì": un racconto fatto in modo tale "che subito lo si dimentica, e bisogna far sempre tutta la strada dal principio per rammentarsene". Poi Momik, cresciuto, sposato, scrittore di professione e di nome Shlomo, cerca di far riaffiorare dal fondo di un oceano insondabile le pagine del libro incompiuto e perduto di Schulz, forse non un libro ma il Libro, per offrirlo a una donna che ha smesso di credere in lui. Nella terza pane può sembrare che la ricerca del Testo punti verso mete meno elusive: un'altra puntata delle avventure dei "Ragazzi di Cuore", una specie di serial popolarissimo nella Germania dell'inizio del secolo. Ne è autore nonno Wasserman, l'unico prigioniero del lager che i nazisti non riescano a eliminare; e chi l'ascolta avidamente è il comandante del campo, Herr Neigel, che in cambio gli ha promesso di ucciderlo se sarà soddisfatto (non occorre sottolineare che nom de plume del Nonno è Sheherazadah). Infine si passa a una vera e propria Enciclopedia, una serie di "voci" in ordine alfabetico che vanno da "Amore" (molto breve: "vedi alla voce: sesso") a "Voto". E l'Enciclopedia, come "fossa comune" dei Significati perduti, appare la forma più adatta a esprimere quel che si prova entrando nella così detta "Stanza bianca" la Stanza dove si può cominciare a ricordare.
In un vecchio e piacevolissimo film di Carn‚ e Prevert, "Drôle de drame", ricordato anche da Gianni Celati nel suo "Finzioni occidentali", il famoso autore di gialli Michel Simon, perseguitato dal cognato Louis Jonvet, non riesce a scrivere se prima non si fa ripetere dalla donna di servizio le vicende sensazionali che ogni mattina le racconta il lattaio: un esempio perfetto della circolarità dei testi letterari. La costruzione di Grossman è ancora più complicata: quando il vecchio Wasserman racconta le sue fantasticherie al comandante Neigel, è idealmente presente anche il nipote, Momik o Shlomo, che cerca di tanto in tanto di "dare una sbirciatina"; e il Comandante nazista ripete e prende appunti ma in realtà - come si scoprirà nella voce "Plagio" dell'Enciclopedia - si impossessa della storia per fingersene autore con la moglie Tina, che legge autori proibiti come Thomas Mann e non si fa più toccare dal marito da quando l'ha visto nel campo e nell'esercizio delle sue responsabilità. E il drame non è per nulla drôle: è il dramma per antonomasia, quello che secondo Elie Wiesel non può essere espresso a parole perché l'espressione "letteratura dell'olocausto" è di per sé un ossimoro; e che comunque in genere si pensa sia meglio riservare a chi lo ha vissuto e sperimentato in "prima persona" (anche se il compito può diventare difficilmente sostenibile: e si potrebbe rimandare, se ci fossero, a eventuali voci Levi, o Améry). Non è un caso che l'olocausto sia sempre avvertibile, e non rappresentato in modo esplicito, in autori diversissimi come Singer o Bassani; e sintomatico risulta il disagio evidente degli scrittori ebrei americani, i Bellow i Malamud e i Philip Roth, non appena le loro pagine si accostano, esitanti, a questo tabù. Grossman invece entra risoluto nella Stanza bianca, strappa il cerotto che zia Itka si è messa sul polso per nascondere il numero tatuato e non turbare la festa di nozze fra Shlomo e Ruth, e aspetta. Non è facile per il piccolo Momik, che si aggira in una Israele di vicoli assolati e sabbiosi, panchine, caffeucci e ricevitorie del Lotto, dove il passato è sepolto nelle cantine, nelle facce segnate di chi non parla, o in vecchi ritagli di giornale. Ma poi il mare restituisce l'odore di cannella della Mitteleuropa, e la storia - la Storia? - comincia. Quel che comincia, e non potrebbe essere altrimenti è la fine. La logica dello shoah e dei lager contagia in certo senso Grossman, proprio come contagia il comandante Neigel prigioniero nel suo stesso campo (ma siamo lontani, sia ben chiaro, dalle ambigue equivalenze tipo "Portiere di notte").
Il testo accanitamente cercato quello in cui confluiscono gli sforzi di nonno Wasserman e dei suoi patetici e invecchiati "Ragazzi di cuore", è un essere vivente, un bambino, Kasik: che non dovrà mai conoscere la guerra e per questo consumerà la sua intera esistenza nel giro di ventiquattr'ore (anzi ventitré: all'ultima rinuncia volontariamente). È questo, del resto, il senso dell'esperimento Prometeo, un sistema ottico basato su un incrocio di specchi escogitato da un fisico russo che si nasconde fra le voci dell'Enciclopedia e poi scompare risucchiato dalla sua stessa invenzione. In queste pagine, forse le più alte del romanzo, e fra le più alte in assoluto che ci abbia dato la narrativa di questi ultimi anni, una rosa rossa appena sbocciata viene ridotta a una serie plurima di riflessi: non una parte o il profumo, o il nome (manca forse anche la voce Eco, Umberto); ma la rosa stessa. E al termine dell'esperimento la rosa è appassita: "tanto", dice Kasik, "era morta già prima". La cosa migliore che possa capitare agli uomini in un mondo come il nostro, sostiene a quanto pare il fisico russo, è quella di diventare "come dei mobili", di sfuggire alla dimensione temporale per entrare in una proliferazione eterna e bidimensionale di orizzontalità. E quando il comandante del campo comincia a intuirlo ("capisce, Herr Neigel?" gli domanda nonno Wasserman alla fine) non potrà che morire a sua volta. Meglio per lui, senza dubbio, se non avesse capito.
Di qui il gioco di rifrazioni, di rimandi e di rispecchiamenti imperfetti, su cui si basa il romanzo; e le continue tensioni metaforiche del linguaggio, che cambia rapidamente di registro o si spezza, più volte, nel bel mezzo di una parola non pronunciabile. (Mi domando, con i miei vaghissimi ricordi dei rudimenti di una lingua severa e arcaica che facevo del mio meglio per non studiare, quanto difficile sia stato conferirle tanta duttilità; anche per questo l'opera di Grossman dev'essere una sorta di rite du passage). Certo, la tragedia è fatta anche di eccessi, di patetismi e di schmaltz: non sarebbe difficile segnare, con la matita rossa, i momenti di caduta o di stridente nevrosi non dominata abbastanza. Ma per questo ci sarà tempo: a differenza del piccolo-vecchio Kasik, Vedi alla voce: amore dovrebbe durare ben più di un solo giorno.

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Conosci l'autore

David Grossman

1954, Gerusalemme

David Grossman è un autore israeliano di romanzi, saggi e letteratura per bambini, ragazzi e adulti, i cui libri sono stati tradotti in numerose lingue. Ha cominciato la sua carriera lavorando in una radio israeliana come corrispondente di un programma per ragazzi. Il suo stile è stato definito «semplice e avvincente»: scrittore impegnato politicamente per trovare una soluzione al conflitto tra arabi e israeliani, è noto in tutto il mondo per i suoi scritti, editi in Italia da Mondadori (se non diversamente specificato). Tra le sue molte opere, ricordiamo i romanzi Vedi alla voce: amore (1998, ripubblicato da Einaudi l'anno successivo), Ci sono bambini a zig-zag (1998), Il libro della grammatica interiore (1999), Che tu sia per me il coltello (2000), Qualcuno...

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