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Un libro fantastico, che mi è stato consigliato e che merita molta considerazione. Questo è uno dei pochi libri sul risorgimento, con un atteggiamento non meridionalista, capace di raccontare la storia di questo periodo storico dal punto di vista dei veri sconfitti, ovvero i cittadini del Regno di Sardegna. Il libro è completo, a volte un pò difficile da leggere, per le numerose citazioni in un italiano ancora immaturo, ma ha il grande pregio di raccontare il risorgimento dalle origini, permette di sapere quelle che erano le vere intenzioni di chi ha fatto l'italia, le opinioni che avevano l'uno dell'altro, chi erano veramente, ad esempio Mazzini viene definito come sciocco dai suoi contemporanei, ed ha spesso l'atteggiamento di un esaltato, Cavour era un uomo spregiuditato e non curante dei consigli altrui, che giocava d'azzardo con lo stato ed il suo futuro, e Carlo Alberto era all'atezza del soprannome tentenna per la sua incapacità di prendere decisioni, e quando prese spesso anche sbagliate. Molto interessante anche la descrizione della criminalità organizzata, e la decadenza del Regno delle due Sicilie e dello Stato Ponteficio, in quanto si parla spesso di Piemontesizzazione dello stato italiano, ma l'italia non ha più niente in comune con lo Stato Subalpino, infatti le sue istituzioni sono state cancellate o svuotate, e già dopo due o tre anni dal trasferimento della capitale a roma, il parlamento scriveva leggi verbose, incomprensibili e spesso contraddittorie sui modelli Ponteficio e Borbonico, sul libro si evidenzia particolarmente la corruzione, e la fusione fra criminalità e lo stati meridionali, cosa ignota negli stati del Nord. Molto bello anche il quadro dato sull'atteggiamento degli altri stati europei che aiutavano la corte dei Borboni a Gaeta, ed in particolare rifornivavno di armi la corte ed i briganti, per infiammare le rivolte nelle campagne, a cui non erano i Piemontesi a far fronte, mai altri italiani rifugiatisi in Piemonte.
Ho letto questo libro perché ingannato dal sottotitolo, che fa supporre una interpretazione originale del Risorgimento. Costa Cardol ha due idee fisse: una, che il Piemonte preunitario fosse uno staterello solido e civile, onesto, laborioso, ben governato, moderatamente democratico e sensibile al grido di dolore degli altri italiani sfortunatamente non piemontesi; e l'altra, che, conquistando il resto d'Italia, il Piemonte avesse rovinato se stesso. Il libro è un reportage prolisso e, insieme, colpevolmente lacunoso. Contiene troppe citazioni da libri e carteggi (interessanti ma unidirezionali e sostanzialmente superflue), e nessuna analisi delle condizioni degli altri stati preunitari. Del Meridione si ripete solo, fino alla nausea, che era una terra arabo-bizantina, dove regnavano la miseria e la schiavitù morale. Giustino Fortunato era dunque un visionario quando scriveva a P. Villari: "L'Unità d'Italia è stata, purtroppo, la nostra rovina economica". Su un altro punto è importante contestare le opinioni di questo libro: che la disgregazione politica e culturale dell'Italia di oggi derivino da una miscela di garibaldinismo e di spirito borbonico, cioè dal ciarlatanismo di tanta sinistra priva di senso della realtà e dallo spirito clientelare e mafioso che, secondo l'A., teneva in piedi l'antico Sud. I metodi di governo di Cavour e della classe dirigente piemontese (illegalità, corruzione, cinismo, ecc.) non sono mai criticati. Anzi quella politica viene considerata come un buon esempio che ha operato positivamente fino a Giolitti, lo statista che Salvemini definì il 'ministro della malavita'. Nel risvolto di copertina è scritto che lo scrittore F. Nourissier "consigliò polemicamente la lettura a De Gaulle" di un libro di Costa Cardol. 'Polemicamente' credo significhi che Nourissier non era sicuro che il libro potesse piacere al generale. Meno male! Voglio continuare ad ammirare il suo grande spirito classico.
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