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Anno edizione: 2022
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Capolavoro, sì. Ma avviso a chi vorrà avventurarsi nella lettura delle oltre 500 pagine di questo romanzo-diario: a volte, anzi per lunghi tratti, la sua pesantezza è davvero estrema e si segue il filo del racconto a stento.
Esistono degli scrittori mediocri e degli scrittori discreti. Poi vengono quelli bravi e ancora dopo quelli bravissimi. Infine, sull'ultimo gradino, c'è Céline.
Sono un relativista nato, ma questo non deve impedirmi di rendere giustizia ad un capolavoro di bellezza che non può essere smentito! Da nessuno! Senza se e senza ma. Chi non ama questo libro è solo perché non lo ha capito. E' la cosa più naturale, disillusa, vicina a inenarrabili verità che io abbia mai letto. Ti fa ridere di gusto e gelare di sconforto. Un' immersione nella vita, dunque nella morte. E poi, che stile, che poesia. E' un libro perfetto.
Recensioni
scheda di Minsenti, P., L'Indice 1993, n.10
(scheda pubblicata per l'edizione del 1992)
La riproposta del "Voyage" nella nuova traduzione di Ernesto Ferrero, che segue a sessant'anni di distanza la prima traduzione italiana firmata da Alex Alexis, s'inserisce opportunamente nell'attuale dibattito sulla necessità di aprire nuove vie alla narrativa italiana, che secondo alcuni troverebbe nel geniale sovvertitore della letteratura francese un modello insuperato, la cui eredità in Italia resta ancora tutta da raccogliere e da riscoprire. Nel caso del "Voyage", proprio il confronto fra le due traduzioni ci mostra due diversi modi di interpretare le innovazioni di Céline e di assimilarle all'italiano letterario. A lungo ci si è limitati a riconoscere nell'uso del parlato e dell'argot i caratteri più originali del romanzo. In realtà la novità del "Voyage" non si riduce affatto a questi elementi espressivi, i più caduchi e facilmente deperibili, ma è fondata su un'originale rielaborazione di quei materiali linguistici, al fine di ottenere uno stile apparentemente immediato, in realtà estremamente artificioso. L'equivoco aveva pesato su Alexis che, se aveva tentato di riprodurre i termini dell'argot popolare, per il resto aveva ristabilito le "buone maniere" della lingua letteraria, correggendo sistematicamente tutte le apparenti goffaggini e forzature, e realizzando così un ibrido in cui la carica eversiva dell'originale risulta spesso mitigata e attenuata, se non addirittura inconsapevolmente tradita. Ferrero, già cimentatosi con la traduzione di "Casse-pipe" nel 1979, dimostra invece una precisa consapevolezza dei meccanismi stilistici che regolano la prosa céliniana, attento a rispettarne il ritmo, lo scardinamento sintattico e il raddoppiamento dei pronomi personali a cui Spitzer aveva dedicato un famoso saggio. Non si tratta per questo di un calco radicale, tentazione facile quanto improduttiva sul piano espressivo; piuttosto, come avverte nella postfazione, appellandosi alla "fedeltà" alla propria lingua e alla propria tradizione letteraria, il problema è quello di realizzare un compromesso, che mira a integrare nell'italiano parlato le forzature sintattiche di Céline, ricorrendo magari a minimi interventi sulla punteggiatura o sulla collocazione delle parole. Questa stessa fedeltà interpretativa viene impiegata per rendere il continuo intarsio tra vari registri, da quello sostenuto a quello basso e triviale, che costituisce uno dei caratteri distintivi della lingua del "Voyage", più tardi ingiustamente ripudiata da Céline. E proprio qui è dato cogliere uno dei risultati più convincenti di questa traduzione, che sfrutta felicemente le risorse dell'italiano letterario contaminandole con la concretezza dell'italiano parlato e popolare, per ricreare l'eloquenza plebea e sbracata, la ridondanza goffa e triviale con cui questo Zola espressionista lancia il suo provocatorio attacco contro il mistificante conformismo della lingua ufficiale.
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