I Viceré. Ediz. integrale
- EAN: 9788854131484

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Edizione integrale
Con I Viceré De Roberto raggiunge la pienezza e la forza espressiva del capolavoro. In questo romanzo storico, paragonabile per impianto e grandezza a I Buddenbrook di Thomas Mann, l’autore crea un equilibrio perfetto fra la rappresentazione del «decadimento fisico e morale d’una stirpe esausta» e le vicende dell’unificazione italiana. Il libro racconta la saga di una grande famiglia aristocratica siciliana di ascendenza spagnola, gli Uzeda. A partire dalla fatidica morte della capostipite, le vicende familiari si dipanano sullo sfondo di una Sicilia feudale e borbonica; e d’altra parte, la storia della Sicilia e dell’Italia entra, a poco a poco ma inarrestabile, nel recinto familiare. I Viceré si conferma come il massimo romanzo di De Roberto e uno dei vertici dell’intera narrativa italiana.
«Giuseppe, dinanzi al portone, trastullava il suo bambino, cullandolo sulle braccia, mostrandogli lo scudo marmoreo infisso al sommo dell’arco, la rastrelliera inchiodata sul muro del vestibolo dove, ai tempi antichi, i lanzi del principe appendevano le alabarde, quando s’udì e crebbe rapidamente il rumore d’una carrozza arrivante a tutta carriera [.].»
Federico De Roberto
(Napoli 1861-Catania 1927) maturò le proprie scelte letterarie nella cerchia di Giovanni Verga. Dopo un’intensa attività giornalistica, letteraria e saggistica si ritirò a vivere a Catania. Accanto a romanzi come L’Illusione (1891) e L’Imperio (1929, postumo), tra le sue numerose prove narrative si ricordano La Sorte (1887), Documenti umani (1889) e Processi verbali (1890).

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14/11/2012 08:31:23
Bellissimo! Si respira l'immobilismo di una casta, ci si appassiona alle vicende di una famiglia piena di contraddizioni e, volutamente, si vede la società solo attraverso gli occhi dei nobili (vuoti e interessati solo alla "roba"). Necessario sin dall'inizio appuntarsi tutte i legami di parentela per non perdersi. Ma anche questo aiuta ad entrare nell'atmosfera di questo grande romanzo.
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30/05/2012 17:31:57
Le prime duecento pagine si leggono con difficoltà. Quasi tutti i personaggi vengono introdotti contemporaneamente, e sono tanti, e per di più l'autore li designa a volte col nome, a volte col titolo nobiliare ("il duca", "la principessa", "il barone"), altre volte indicando la relazione di parentela con altri personaggi ("il figlio", "il cugino", "la cognata" ecc.) Bisognerebbe annotarsi subito un albero genealogico. Inoltre, in questa prima parte del romanzo sembra succedere ben poco e anche i caratteri sembrano statici e stereotipati. Confesso di essere stato più volte sul punto di abbandonare la lettura. Dopo, però, ci si accorge che la lentezza di queste pagine ha un senso ben preciso: serve ad evocare la stagnazione, l'immobilismo di quel regno delle Due Sicilie in cui la storia sembrava essersi fermata. Infatti, non appena Garibaldi sbarca a Marsala, il romanzo dà uno scossone, parte come una locomotiva a vapore, e nessuno lo ferma più. I personaggi, una volta che si è imparato a conoscerli e ad "ammirare" la logica perversa che li guida nel loro trasformismo (dato che ovviamente questi "nobili" borbonici, pur di conservare il potere, sono disposti ad indossare qualsiasi casacca), disegnano uno spaccato feroce del peggio della classe dirigente italiana, e meridionale in particolare. Gente spudorata, priva di scrupoli; e non è cambiato niente dall'Ottocento ad oggi, la cronaca sta lì a dimostrare l'attualità dell'analisi di De Roberto, che ci squaderna freddamente davanti agli occhi tutta la miseria umana dei potenti. Si arriva alle ultime pagine completamente avvinti e con la consapevolezza di aver letto un grande capolavoro.
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16/04/2012 15:42:27
Un romanzo corale che è decisamente un capolavoro della nostra letteratura. Ingiustamente sottovalutato dalla critica italiana.
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06/04/2011 22:49:29
Che dire di questo romanzo? Non si tratta di un romanzo storico alla Manzoni, non si tratta di un romanzo verista alla Verga, non c'è interesse per l'analisi psicologica dei personaggi. Nel suo tentativo di fare una narrazione totalmente esterna il povero De Roberto ha dovuto rinunciare a tutto: alla presenza di un protagonista, alla presenza di un narratore, ad ogni altro artificio tipico del romanzo. La lingua e lo stile sono certo superiori a quelli del Verga, peccato che il De Roberto sostanzialmente non parli di nulla. I romanzi di Verga possono piacere o non piacere, ma almeno hanno una trama. Qui abbiamo invece le stesse vicende famigliari che si ripetono noiosamente per tutta l'opera: morti, funerali, eredità, litigi, ecc. Confinate sullo sfondo le vicende dell'Unità d'Italia; non si può dire che il De Roberto sia contrario all'Unità nazionale, sembra che non gliene importi nulla ed è ben difficile capire cosa importi a questo autore. Opera divisa in tre parti da nove capitoli ciascuna, vede la trama animarsi soltanto nel capitolo conclusivo di ciascuna parte. Pare che l'autore dorma fino al capitolo nove di ogni sezione, per poi risvegliarsi e dire finalmente qualcosa di significativo. Volendo risparmiare carta il romanzo potrebbe essere ridotto a tre capitoli: i capitoli noni che chiudono ogni sezione. Troppi, troppi personaggi, i quali per di più non ci vengono nemmeno presentati in un bel quadro d'insieme alla Manzoni, semplicemente appaiono in scena come se nulla fosse, come se il lettore li conoscesse da sempre. L'opera è certo ben curata nello stile ma ciò che racconta è di una noia esasperante; si tratta di un libro lunghissimo le cui vicende principali si potrebbero riassumere in quattro o cinque righe.
