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«Vedi? Quando c'erano i Viceré, gli Uzeda erano Viceré; ora che abbiamo i deputati, lo zio siede in Parlamento.»
«I Viceré si iscrive nel capitolo delle grandi saghe che con la potenza di un affresco narrano alcuni decenni di storia attraverso le vicende di una famiglia, di una stirpe, di un ceto sociale, assunti come monade del mondo che li circonda. [...] I Viceré> è una disperata, sofferta, dolorosa confessione. La confessione di un essere umano che si identifica totalmente con una precisa società, e ne racconta fatti e misfatti con una oggettività insistita e impietosa; come un serial killer che una volta preso e smascherato svuota finalmente il sacco dei suoi delitti, rivelandone addirittura di insospettati. [...] I Viceré è dunque davvero un lungo, dolente monologo. Dal suo senso più profondo possono anche distrarre i fatti, i conflitti, i personaggi che ne animano le pagine, e che nel romanzo tengono desta l'attenzione, incuriosiscono, e addirittura appassionano. Ma il più autentico filo conduttore è quello: il dolore, forse anche la disperazione, che ne fanno il sofferto epicedio di questa società di naufraghi della Medusa, atavicamente impotente, alla quale l'autore è atavicamente legato e alla cui sorte si immola.» (dalla Prefazione di Luigi Lunari)
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Con il nome degli Uzeda De Roberto si riferisce in particolare al giovane Consalvo Uzeda che in questo romanzo è il personaggio principale. All’epoca l’Italia era divisa in 5 stati: Regno di Sardegna; Lombardo Veneto; Granducato di Toscana; Stato della Chiesa, Regno di Sicilia. Nel 1882 sono incorporati nel regno d’Italia. L’evento che avrà notevoli conseguenze è la morte della principessa donna Teresa Uzeda che lascia 7 figli. Per il funerale giungono Don Mariano Crispo e don Jacinto Costantino. La Sala Gialla del palazzo si riempie di parenti, tra cui Don Blasco, priore benedettino. Gran folla al rito funebre, tra cui padre Lodovico e fra Carmelo. E’ letto il testamento di Teresa Uzeda di Francalanza il 19 maggio 1855, che chiede di essere imbalsamata. Il suo catafalco è esposto con il grande scudo, due angeli d’argento, 4 torce e sei valletti seguiti da 12 prefiche piangenti. Il cadavere è imbalsamato ed esposto al pubblico in una bara di vetro con targa del consorte. Il corteo funebre è formato da uno sciame di servi in livrea nera e da una fila di frati cappuccini seguiti da tutte le carrozze di famiglia, con 40 uomini e e i solfai delle miniere di Oleastro e il barone Grazzeri, i Curcuma, la decaduta marchesa Trigona su un cocchio malandato tirato da due ronzinanti. E’ qui elencato solo questo evento giusto per dare un’idea della ricca trama e complessità di questo romanzo, che rappresenta un notevole affresco della società palermitana e sicula dell’epoca. E che De Roberto rende con scrittura limpida, priva di ridondanze e di fronzoli. Nell’edizione universale economica Feltrinelli il romanzo è reso con un tomo “pesante” di ben 664 pagine, che comunque non scoraggeranno un lettore curioso e sagace.
Il romanzo racconta la storia di una famiglia di Catania d’origine spagnola, gli Uzeda di Francalanza, discendenti dei Viceré di Spagna (da qui il titolo) sullo sfondo di un’Italia a cavallo tra il Risorgimento e l’unificazione. Il racconto inizia a metà dell’ottocento e continua fin oltre il 1900, scorgendo così la nascita dello Stato Italiano e permettendo al carattere principale di parteciparvi attivamente. Infatti Consalvo verrà eletto deputato nel Parlamento Italiano. E’ un romanzo corposo (665 pagine nell’edizione universale economica Feltrinelli) ma con una trama ricca e avvincente per cui si lascia leggere bene. Il suo pregio consiste non solo nell’approfondita descrizione dei personaggi, ma anche nel ben delineato quadro storico che vi fa da sfondo, che comprende pure lo sbarco dei garibaldini a Marsala per l’unificazione finale dell’isola al continente. Consalvo, da ragazzino confinato in un convento, riesce ad allontanarsene e ad apprendere i rudimenti della vita sociale, che gli per metteranno di emergere, di istruirsi e infine di far carriera nella società romana ben lontano dall’isola natia. Ed è proprio Consalvo a trionfare, pur essendo stato diseredato dal padre e aver dovuto destreggiarsi tra alterne vicende. Non manca neppure un sonetto dissacrante (p. 656) cantato dal popolino, cui non dispiacciono le largizioni pecuniarie dello stesso principe Consalvo. Eccone una strofa: Evviva il principino / che paga a tutti il vino Evviva Francalanza / che a tutti empie la panza
Ci sono libri che non donano luce, la cui cupa narrazione è pregna di negrezza e livore: “i Viceré” di de Roberto rientra tra questi. Chi cerca bellezza, gioia e speranza, chi agogna qualcosa di edificante e ricco di buoni sentimenti è meglio che non si cimenti nella sua lettura. Per comprendere un’opera letteraria bisogna cercare di comprendere le idee dell’autore, il suo retroterra culturale ed il clima politico-sociale in cui è stata scritta. Questo libro è stato pubblicato nel 1894, un anno prima c’era stata la liquidazione della Banca Romana e la nascita della Banca d’Italia; erano scoppiate le manifestazioni dei Fasci Siciliani dei lavoratori, Giolitti si era dimesso e Crispi proclamava lo stato d’assedio mandando l’esercito in Sicilia a sedare i moti. De Roberto (1861-1927) viene spesso definito un “borghese moderato”, simpatizzante dei ceti conservatori, in realtà io penso che sia stato un vero liberale. Il fatto è che (solo) in Italia i liberali vengono considerati dei conservatori, in realtà il liberalismo è una faccia della medaglia rivoluzionaria (l’altra è il socialismo) e pertanto personalmente considero de Roberto un vero e proprio rivoluzionario. Lo si capisce dal suo feroce e costante anticlericalismo, dal suo disprezzo verso l’aristocrazia siciliana e tutto il mondo del vecchio regime borbonico. Mentre ne “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa trapela una sottile nostalgia per quel mondo, qui abbiamo un vero e proprio disgusto per esso. De Roberto, vissuto nei primissimi anni post-unitari, profondamente intriso di ideali liberali e anticlericali, è un rivoluzionario disilluso e pieno di risentimento per il tradimento degli ideali risorgimentali: loschi arrivisti, personaggi riciclati, politici dediti al clientelismo e nobili voltagabbana hanno sepolto, a suo parere, ogni buona intenzione sotto i macigni dell’opportunismo, della corruzione, della brama di potere e ricchezza. Un libro molto attuale che aiuta a capire molto dell’Italia di oggi.
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