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Anno edizione: 2019
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Questo libro l'ho scoperto grazie al mio mitico docente di lettere moderne.Portato come esempio di libro autocelebrativo,farcito di citazioni dotte da salotto borghese,che ruota attorno al concetto sentito e risentito dei non-luoghi.Wolf direbbe:smettiamo di farci i p. a vicenda.la banalità fatta carta.
Puro autocompiacimento letterario, tra dotte citazioni e ostentazione di una cultura intesa solo come la somma di un sapere. Un libro che si dimentica immediatamente e non lascia nulla.
L'elegante multiverso dei punti di vista. Storia, mito, dolore, scritti da chi del treno ha capito tutto.
Recensioni
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Ricordare che in greco moderno con la parola metaphorà, alla lettera "trasporto", ci si riferisce a un'entità apparentemente triviale e che soprattutto non ha niente in comune con le classificazioni della retorica come il tram elettrico, può essere forse il modo migliore per introdurre un discorso sulla nuova raccolta di moralità di Valerio Magrelli, La vicevita. Treni e viaggi in treno (collana "Contromano" di Laterza). Deposta in partenza qualsiasi ipotesi heideggeriana di svelamento di una verità perduta attraverso l'etimologia, dal corto circuito tra la figura retorica e i binari ferroviari, si può trarre infatti almeno un'indicazione importante: di tutti i libri di Magrelli, La vicevita appare da subito il più radicalmente metaletterario, il libro in cui, parlando delle difficoltà ma anche dei felici imprevisti del trasporto, l'autore sembra svelarci di più sui meccanismi del fare poetico.
Nel 2003 Magrelli aveva pubblicato il suo primo libro di prose, Nel condominio di carne, tutto costruito sull'ipotesi che del corpo, del proprio corpo, si potesse parlare soltanto attraverso i suoi incidenti: fratture, palpiti, extrasistoli, esami al microscopio, biopsie; ora, a distanza di sei anni, il poeta romano ripete la stessa formula con i viaggi in ferrovia. In entrambe i casi il disguido e il malfunzionamento si caricano infatti di una valenza apertamente positiva: dicibili (poetabili) saranno solo gli incidenti e gli ostacoli, vale a dire le deviazioni da un percorso lineare che al contrario, proprio a causa della sua indomita prevedibilità, sarebbe sprovvisto di qualsiasi interesse. A conti fatti, dunque, La vicevita si rivela un bel titolo ma parzialmente ingannatore. Se Magrelli sembra infatti voler descrivere la noia burocratica di quelli che si potrebbero definire i non-tempi dell'individuo contemporaneo e dichiara che la nostra esistenza "pullula di queste attività strumentali e vicarie, nel corso delle quali, più che vivere, aspettiamo di vivere, o per meglio dire viviamo in attesa d'altro", allo stesso tempo questa condizione purgatoriale si rivela ancora una volta l'unica narrabile, sino a costringerci ad ammettere che da un punto di vista strettamente letterario l'"altro" di cui parla Magrelli forse non esiste. Il corpo è sofferenza; la vita è secondo un antico topos letterario viaggio.
Come le metafore, gli imprevisti ferroviari ci conducono laddove inizialmente non avevamo previsto di andare e inaugurano un'imprevista avventura conoscitiva. Di trasporto in trasporto, cioè di metafora in metafora, la burocratica "vicevita" del professore pendolare e del giovane vacanziere si rivela a poco a poco costellata di sorprendenti mirabilia: treni che incendiano la campagna circostante, traversate Western, nenie familiari, compagni di viaggio troppo loquaci, giambi ferroviari, riti di iniziazione, piccole immoralità italiche
Al punto che, persino quando Magrelli lascia la parola alle proprie raccolte di versi e si dedica all'ardua attività dell'autocommento, lo fa per prolungare la catena metaforica piuttosto che per addomesticarla nella chiosa univoca.
Nella prosa così come nella poesia di Magrelli, le cose sono sempre altre da quelle che appaiono pur rimanendo le stesse. Magrelli non ha mai affermato con tanta chiarezza la natura bifronte e metamorfica dell'universo come nella sua ultima raccolta di versi, Disturbi del sistema binario, dove trionfa l'immagine, cara agli psicologi e ai filosofi, dell'anatra-lepre: uccello o mammifero a seconda del modo in cui la osserviamo. Il richiamo al campo della vista, da sempre caratteristico dell'opera di Magrelli, ha fatto sì che la sua poesia venisse interpretata in chiave prevalentemente gnoseologica, come una grande interrogazione sul problema della conoscenza umana. La vicevita mostra invece chiaramente come questa sia soltanto una lectio facilior e come a conti fatti Magrelli sia assai più un poeta ontologico, cioè preoccupato dell'instabilità dei fenomeni, che gnoseologico, vale a dire interessato al nostro rapporto con essi. Le riflessioni di Valéry sulla natura duplice dei finestrini dei treni, già valorizzate da Magrelli nella sua monografia sul poeta francese, sono da questo punto di vista illuminanti: senza che cambi la composizione fisica del vetro, basta che la luce cada in modo diverso sulla superficie della lastra perché questa smetta di lasciarci osservare il mondo di fuori e cominci invece a riflettere la nostra stessa immagine, come in uno specchio.
Nulla è quello che sembra, ci ricorda continuamente Magrelli, perché tutto può sempre evolvere nel suo opposto. Si considerino due aneddoti perfettamente simmetrici raccontati proprio nella Vicevita. Nel primo di essi abbiamo una coppia di presunti amici di amici che a un supplemento di indagine si rivelano dei completi sconosciuti e che dopo aver offerto generosamente la propria ospitalità, una volta chiarito l'equivoco, si arroccano in un sordo imbarazzo; nel secondo un vero amico di amici che un giorno gli rivela di aver dormito nel medesimo scompartimento di vagone letto con l'autore, diversi anni prima, quando ancora non si conoscevano. Come considerare gli uni? E come l'altro? La risposta di Magrelli sembra essere che l'intero universo non è che una gigantesca anatra-lepre, dove non siamo noi a cogliere, pirandellianamente, i fenomeni in maniera diversa, ma è la realtà a sottrarsi a ogni classificazione. Il doppio aneddoto degli amici di amici che sono estranei e dell'estraneo che è un amico di amici aiuta anzi a comprendere forse per quale motivo Magrelli ami tanto una figura retorica delle più banali come il chiasmo ("la fragilità della nostra visione" / "la visione della nostra fragilità"). Grazie alla semplicità della loro struttura simmetrica, le coppie incrociate devono avere infatti ai suoi occhi il merito di evidenziare in maniera incontrovertibile una condizione più generale dell'esistenza.
Una volta riconosciuta l'instabilità di questo cosmo pervaso di metafore, non è possibile sorprendersi che la paura sia il sentimento dominante delle opere in prosa di Magrelli. Per questo sarebbe anzi difficile immaginare un autore più idealmente distante dalla Vicevita del Rilke delle Lettere a un giovane poeta: "Noi non abbiamo nessuna ragione di dubitare del nostro mondo, ché non è esso contro di noi. E se ha terrori, sono nostri terrori; se ha abissi, appartengono a noi questi abissi, se vi sono pericoli, dobbiamo tentare di amarli. (
) Come possiamo dimenticarci di quegli antichi miti, che stanno alle origini di tutti i popoli? I miti dei draghi, che si tramutano nel momento supremo in principesse; sono forse tutti i draghi della nostra vita principesse, che attendono solo di vederci un giorno belli e coraggiosi". Vana speranza. Al contrario, il vero eroe segreto delle prose di Magrelli sarà l'amico del protagonista che, dopo essere rimasto coinvolto in un incidente ferroviario fatale per uno dei suoi occasionali compagni di scompartimento, sconvolto continua a esclamare: "Io non mi fido più!". Come dargli torto? Con tante metafore in agguato, affidarsi alla regolarità dell'universo richiede quanto meno una buona componente di ingenuità. Caduta l'illusione in un cosmo univoco e puramente referenziale, l'unico atteggiamento davvero saggio sarà allora la "paura" non a caso, con i suoi sinonimi, uno dei termini ricorrenti del libro. Che per Magrelli l'incarnazione suprema della ferrovia siano i vagoni blindati in marcia verso Auschwitz non è dunque, alla fine, che la conseguenza necessaria della terrificante imprevedibilità del mondo.
Gabriele Pedullà
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