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Fino a un certo punto è un romanzo interessante, ma quando si giunge all'assedio, almeno per me, l'interesse scema. Non ho particolarmente apprezzato neanche l'ironia, spesso del tutto gratuita. Indubbiamente,.però, è ben scritto.
La prima volta che si bombarda la popolazione civile invece della militare. Racconta le storie dell 700 ma è molto attuale: siammo ancora ne le stesse situazioni che Barcellona nel 1714
"La guerra è il fuoco che fa bollire la pentola, fa salire il vapore ancestrale e solleva quel leggero, instabile coperchio chiamato civiltà. Rousseau aveva ragione: la barbarie non è fuori, ma dentro; il selvaggio non si trova nelle latitudini esotiche, ma nel nostro intimo più recondito". Anche se non privo di imperfezioni, libro eccellente e piacevolissimo: i personaggi sono vivi e quasi sempre molto realistici, ci sono sempre ritmo e ironia dissacrante, le situazioni narrative sono ben congegnate, numerose e soprattutto la tensione è costante. In controluce s'intravedono certi classici ottocenteschi: v. l'eroe in formazione di Balzac, che qui già nasce amorale ed opportunista. Ma qui il linguaggio è moderno, preciso e sboccato. Insomma si riesce a mescolare o a montare in successione tre modelli diversi di romanzo: quello picaresco, quello di formazione e quello epico, quasi corale, nella terza parte, la più tesa, che sfrutta appieno la situazione narrativa efficacissima dell'assedio. In realtà anche questo romanzo storico parte da problemi o idee moderni: il nazionalismo catalano, le sue origini e i suoi limiti - e chi legge la storia dell'insensato e cruento assedio di Barcellona, insensato anche per l'incredibile volontà di resistere dei già sconfitti catalani, si rende conto degli ostacoli storici e culturali all'unità spagnola oggi -; l'orrore per la guerra, malgrado si parli molto di battaglie e ingegneria militare; l'odio per i politici, tipicamente spagnolo (e italiano); e un'anti-ideologica simpatia per gli ultimi, vittime ma anche attori della Storia. Tante le belle illustrazioni originali o in stile, le cartine, le immagini di dettagli tecnici. "Siete mai morti? Io sì, diverse volte. E ci si trova in uno stato così dolce, così piacevole, che posso capire perché nessuno ha mai fatto ritorno da lì. La morte uccide solo i desideri e i doveri". "Il matrimonio? sì? questa cittadella assediata dove chi è fuori vuole entrare e chi è dentro vuole uscire...".
Recensioni
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Victus è romanzo di formazione, uno scritto storico, una vicenda picaresca; difficile da incasellare in una delle definizioni che normalmente la letteratura richiede per una comprensibile esigenza di catalogazione. Arduo comprimerlo in un’etichetta senza che la stessa risulti poi stargli troppo stretta.
Victus è stato caso editoriale in occasione della festa di San Jordi del 2013, quando in una manciata di giorni furono acquistate migliaia di copie, divenendo così il libro più venduto della manifestazione. Victus in totale ne ha vendute 250.000 di copie, tra il castigliano e il catalano. Victus è stato diffuso, tradotto in diciassette lingue perfino in coreano, pubblicato in ristampe continue. (…)
Scritto avvedutamente in castigliano dall’antropologo africanista Albert Sánchez Piñol, oggi lo scrittore di lingua catalana più tradotto al mondo, Victus ci catapulta ai tempi della guerra di successione spagnola che porta all’estenuante assedio di Barcellona culminato nell’11 settembre 1714 e alla conseguente imposizione delle leggi della Corona di Castiglia.
La storia, sempre e prima di tutto. Carlo II di Spagna, ultimo regnante della casa d’Asburgo, nel 1700 morì senza lasciare eredi. Francia e Spagna, da un lato, e la grande Alleanza, che comprendeva Inghilterra, Austria, Olanda e Sacro Romano Impero, dall’altro, diedero vita ad una sanguinosa serie di battaglie che coinvolsero quasi tutta l’Europa di allora, nel tentativo di far salire sul trono i propri favoriti: Filippo D’Angiò i primi, il Granduca Carlo degli Asburgo d’Austria i secondi. La Spagna stessa è divisa internamente in due fazioni contrarie, la Castiglia appoggia Filippo di Borbone, la Catalogna invece l’Arciduca d’Austria. Questa frammentazione viene sentenziata in modo quasi profetico già da subito, quando il narratore arriva provocatoriamente a negare l’esistenza stessa della Spagna. “La Spagna non è esiste, non è un luogo, è una discordanza.”
L’evento storico è lo scenario nel quale hanno luogo le vicende del protagonista Martí Zuviría, ingegnere di guerra formatosi, per una serie di eventi fortuiti, presso la corte del marchese di Vauban, suo mentore. Un ormai novantenne Zuviría racconta le sue memorie alla pazientissima Waultrad, attuando il passaggio consequenziale da livello diegetico ad extra-diegetico. Da narratore dei fatti a “lettore” in chiave anacronistica degli stessi, riflettendo e giudicando gli accadimenti. Il dialogo continuo con Waltraud è funzionale proprio a questo, e la povera governante è incaricata di trascrivere sapientemente la storia raccontata dal protagonista-narratore, il quale non disdegna di riservarle appellativi poco edificanti per la necessità, forse, di esasperare il suo caratteraccio. Questo contribuisce a disegnare il suo profilo di eroe e anti-eroe insieme, a volte bieco, a volte così miseramente “umano”, a tratti finanche meschino, eppure capace di generare riflessioni che lasciano il lettore senza fiato. In un’atmosfera da trincea dove lo sporco e l’ombra dominano incontrastati, riesce ad infiltrarsi una luce che all’improvviso acceca, abbaglia per bellezza e saggezza. E una considerevole dose di lungimiranza. (…)
Recensione di Angela Vecchione
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