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Grandissimo poeta.
Da leggere e rileggere!
Una raccolta perfetta di tutte le poesie di uno dei più grandi poeti della storia, il mio preferito. Un’edizione costosa ma bellissima, da tenere nella propria libreria.
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Scrive Leopardi che l'illusione degli anniversari, facendo rivivere il passato, "allontana l'idea di annullamento e ci consola". Ben venga dunque, nel quarantesimo anniversario della nascita dei "Meridiani", la riedizione del volume che inaugurò la collana: Vita d'un uomo. Tutte le poesie di Ungaretti, uscito nel 1969 a cura di Leone Piccioni e oggi riproposto, ampliato e arricchito, a cura di Carlo Ossola, con il validissimo aiuto di Giulia Radin e Francesca Corvi. In che senso arricchito? Anzitutto di nuovi testi (Nuove ritrovate); di un rinnovato Apparato delle varianti a stampa; di un nuovo Commento che si avvale dell'intero corpus ungarettiano, compresi epistolari anche inediti; e di una Cronologia minuziosa fatta di documenti di prima mano, com'è uso della collana, che si legge come un romanzo e che si chiude con la bellissima commemorazione di Vittorio Sereni: "Muore per la seconda volta mio padre
".
La sezione delle poesie ritrovate in questi quarant'anni dagli studiosi (più due inediti) è completata da un'Appendice che restituisce testi smembrati o comunque trasformati in varie fasi elaborative, e autotraduzioni, che testimoniano il bilinguismo di Ungaretti: testi usciti in "Commerce" (1925-27), nella "Nrf" (1928) e nell'antologia Vie d'un homme, del 1939, curata da Jean Chuzeville, dove si attesta per la prima volta il titolo che, in italiano, sarà quello di tutta l'opera; e ancora, il lungo testo Poesia diviso in tre parti nel Dolore, e alcune prose liriche uscite nel 1910 nel "Messaggero Egiziano" e nel 1915 nella milanese "Critica magistrale". Nuovo spazio critico nell'introduzione viene dato alle poesie francesi Derniers Jours uscite da Vallecchi nel 1919 (la plaquette La Guerre e le tre poesie di plm), considerate non come testi marginali, ma come testimoni di un pieno ritorno alla vita intellettuale parigina negli anni fra il 1918 e il 1921, anni che videro la morte degli amici Apollinaire e Modigliani: e "la coscienza del chiudersi definitivo di un'epoca di sperimentazione e di visioni". Quindi il dialogo con Breton & C., il convergere verso la poetica di "rigore e vuoto" di De Chirico nella forma chiusa dell'ut pictura poesis, l'amicizia con Papini, Prezzolini, Soffici, Carrà: una rilettura interessante, con perno in De Chirico, che tende a spostare il senso del "rientro all'ordine" dell'Ungaretti del primissimo dopoguerra nell'alveo di "una meditazione poetica che attraversò le arti in Europa".
La prima reazione, per così dire, professionale di fronte a questo "Meridiano" è l'ammirazione per l'acribia con la quale i curatori hanno lavorato, pur conservando senza intaccarlo il vecchio nucleo pubblicato in vita del poeta; nonché la vastità della ricerca in numerosi archivi (primo fra tutti il Bonsanti al Vieusseux di Firenze), le numerose fondazioni, gli eredi di lasciti e carteggi. La curiosità per le novità comporta anche tuttavia di tornare casualmente su pagine bellissime del vecchio "Meridiano", come l'introduzione del poeta Ragioni di una poesia: "Il mistero c'è, è in noi. Basta non dimenticarcene (
) Il punto d'appoggio sarà il mistero, e mistero è il soffio che circola in noi e ci anima". Il nuovo apparato permette un affondo sul tema dell'"inesprimibile nulla", la cui grande metafora è Alessandria d'Egitto ("Il tempo la porta sempre via, in ogni tempo
E dicendo nulla, in particolare ho pensato, difatti, a quel lavorio di costante annientamento che il tempo vi produce"), e su quella che il curatore chiama una "parabola pascaliana": il nulla pascaliano, la cui presenza si avverte secondo Ungaretti anche nel Leopardi dell'Infinito, come si legge in una redazione manoscritta del Secondo discorso su Leopardi del 1950, nonché in una lettera a Bigongiari dello stesso anno: "La storia della poesia italiana è semplice: il gran segreto è sempre in Agostino sia direttamente, come in Petrarca, sia indirettamente come, attraverso Pascal, in Leopardi". Una linea che giunge a Ungaretti e sfiora il primo Zanzotto di Dietro il paesaggio, nella recensione ungarettiana che accompagnava il Premio Bagutta.
Come un romanzo, dunque, si legge la Cronologia, gli anni alessandrini ("Sono un italiano di nostalgia" lettera a Papini del 1918); quelli straordinari dell'"Affricano a Parigi" e poi la guerra e il Porto sepolto, e il lungo itinerario del poeta. Fra gli aneddoti interessanti, dal Brasile scrive nel 1938 una lettera sull'Etiopia a Jean Paulhan: "Assassiner un peuple de 40.000.000 d'habitants, le plus généreux de la terre"; e la veemente protesta, per la quale fu brevemente arrestato, contro le leggi razziali e la campagna antifrancese del governo fascista: l'amore che portava alla Francia era infatti, "depuis toujours, amour égal à celui que je porte à ma patrie" (a Jean Lescure nel 1956). E altrove: "Ecco perché chiamo il Brasile mia patria umana: mi ha dato, per l'esperienza che vi ho potuto fare, la misura dell'uomo" (in Viaggi e lezioni). Il che illumina il senso delle traduzioni, oltre che da Blake, Góngora, Shakespeare, e da Mallarmé e Racine e Saint-John Perse e Ponge, anche da Murilo Mendes e Vinicius de Moraes.
Difficile dire qualcosa in due parole sull'introduzione e il commento: se non per segnalare la convincente ipotesi del curatore, studioso ungarettiano di antica data com'è noto, sul valore fondante del Porto sepolto, non incipit bensì origine, secondo le sue parole ("coagulo mitico che contiene in nuce i simboli e le matrici figurali" dell'opera), dove lo iato indotto sul metro della tradizione (i famosi versicoli) serve soprattutto a "dilatare all'infinito il rinvio di 'questa poesia' a 'quel nulla / d'inesauribile segreto'".
È insomma uno scavo nel passato che appare gravido di futuro: perché invoglierà i giovani studiosi a seguire i suggerimenti e sondare ulteriormente zone ancora fertili come la biblioteca di Ungaretti, i carteggi e, infine, i giornali e le riviste cui Ungaretti collaborò in Egitto, in Francia e in Brasile.
Laura Barile
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