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La vita delle immagini - Charles Simic - copertina
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vita delle immagini

Descrizione


È «come un tavolo sul quale disponiamo oggetti interessanti trovati durante una passeggiata: un ciottolo, un chiodo arrugginito, una radice dalla forma strana, l'angolo strappato di una fotografia»: così Simic spiega, nel saggio "Note su poesia e filosofia", da dove scaturisca la sua poesia, prima che il tempo e la riflessione intervengano a illuminare associazioni e significati. È la stessa poetica della giustapposizione impiegata nelle arti visive da Giorgio de Chirico e Joseph Cornell: una poetica talmente versatile da prestarsi anche alla forma saggistica, come dimostra questa raccolta di quarantuno prose - stralunate, indocili, nitide, sottili - scritte negli ultimi trent'anni, che spaziano dai ricordi di guerra alla lode della salsiccia, dall'elegia per una madrepatria in frantumi all'insofferenza verso la poesia bucolica, dal disprezzo per gli «specialisti dell'orgoglio etnico» a un'eclettica galleria di profili (Buster Keaton, Odilon Redon, Roberto Calasso, Emily Dickinson).
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Dettagli

2017
30 marzo 2017
339 p., Brossura
9788845931581
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Indice

Indice.

I. Da «Wonderful words, silent truth»
Perché amo certe poesie più di altre - Leggere di filosofia la notte - Scatole cinesi e teatrini delle marionette - Note su poesia e filosofia

II. Da « The unemployed fortune-teller»
Il flautista nella buca - Cibo e felicità - La piccola Venere degli eschimesi - Salsiccai fritta - Elegia in una ragnatela - Shop, Le Barcares - Non c'è cura per il blues

III. Da «Orphan factory»
Charles l'oscuro - Elogio dell'invettiva - Fabbrica di orfani - Il guaio della poesia - Basta con le spiritosaggini! - La poesia degli scemi del villaggio - Paradiso spaventoso - Cielo notturno

IV. Da «The metaphysician in the dark»
Elogio della follia - Il diavolo è un poeta - La forza dell'ambiguità - Buster Keaton - Poesia e storia - Il fascino romantico delle salsicce - La poesia come arte della memoria - Joseph Cornell: Stargazing in the Cinema - La letteratura e gli dèi: Roberto Calasso

V. Da «Memory piano»
Saul Steinberg - I Simic canterini - Marina Cvetaeva: la vita tragica - L'ombrello di Adam

VI. Da «The renegade»
Il rinnegato - Leggere di utopie a New York - La nostra salvezza è nella risata - La vita delle immagini - Il potere dell'invenzione

Prose sparse
Le vere avventure della gabbia di Franz Kafka - Il mio segreto - Oh, che bella guerra! - Il filosofo dell'insonnia

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al. n.
Recensioni: 5/5

Una serie di saggi e scritti autobiografici di rara profondità. L'autore è più che mai lontano da ogni fondamentalismo culturale, religioso o nazionalista. Non risparmia nessuno ed è particolarmente pungente verso gli intellettuali, troppo spesso complici dei potenti. Le pagine su Cvetaeva, sul blues, e su Joseph Cornell sono tra le più belle del libro.

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CasaParisi
Recensioni: 4/5

"A me piacciono le poesie che sono reticenti, che omettono, si interrompono, rimangono aperte". Anche a me. E poi uno che ama Emily Dickinson e Marina Cvetaeva ha tutto il mio amore, a prescindere. Quarantun prose godibilissime compongono questo libro, e qualche poesia (ma in prosa). Soldi spesi bene, sì. Simic parla nella sua mente. La sua scrittura è audace e diretta. Creare la prosa dalle cose e dalle situazioni che osserviamo nella vita di tutti i giorni. Le sue parole toccano la guerra, i pregiudizi, l'amore, la famiglia, il cibo, ecc. Questo libro nutrirà la tua anima. C'erano capitoli che mi piacevano più di altri capitoli anche io lo rileggevo all'istante perché amavo il punto di vista che Simic aveva. Lo consiglierei a coloro che amano le storie brevi, la prosa e il ritmo più lento, ma il materiale stimolante.

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Voce della critica

Charles Simic, il futuro anteriore della nostalgia

“Il poeta, indipendentemente dal grado di istruzione, età, sesso e preferenze, nel profondo dell’anima è, e rimarrà sempre, un erede spirituale delle tribù primitive […]. È un animista, un feticista che crede nelle forze segrete che sonnecchiano in ogni cosa, ed è convinto che con l’aiuto di parole opportunamente scelte riuscirà a risvegliarle” sicché, non appena inizia a scrivere versi, “l’uniforme del razionalismo” non può che stargli stretta. A questa pagina cui Wislawa Szymborska ha consegnato una delle sue rare formulazioni teoriche sulla natura del poeta, induce a ritornare la lezione stilistica e poetica di Charles Simic. Se lo stile di Simic è contraddistinto da meri objets trouvés, da “pezzetti di lingua” emergenti dallo sfondo di indicibilità che li circonda e ottunde e di cui “la scrittura è sempre una traduzione approssimativa”, la poetica ch’egli con insistenza dichiara di prediligere è intrisa di un’irrequietezza che ama il paradosso, l’impurità, il capriccio del caso: tutto quanto si oppone alla univocità del Logos e alla pretesa di poter attingere, attraverso la poesia, a una verità metafisica.

Come si legge in uno dei primi saggi contenuti nella ricca antologia La vita delle immagini, tradotta con sensibilità da Adriana Bottini, il poeta non è “un metafisico nel buio”, secondo la nota definizione di Wallace Stevens (antonimo vivente di Simic): non vi è ragione per concepire la poesia come un succedaneo della filosofia. Compito della letteratura prima ancora che della poesia, per Simic, deve piuttosto essere quello – ha scritto nella postfazione a Hotel Insonnia (Adelphi 2002) Andrea Molesini – di “assediare la irripetibilità dell’attimo con associazioni tanto evocative da perpetuarne la vita”. Al dettato poetico è dato trovare la propria materia anzitutto in quegli iati, in quegli intervalli vuoti che “ci fanno scoprire la nostra essenza profonda”, e che accompagnano, quali fondali opachi e silenziosi, il vortice degli accadimenti umani. Sono le tracce ora meste ora liete dell’esistenza a disegnare un percorso all’interno di quel White Labyrinth (come si intitola uno dei componimenti raccolti, nel 2015, in The Lunatic, e ora pubblicati in italiano, nell’efficace versione di Damiano Abeni e Moira Egan, per i tipi di Elliot) che “aspetta / su ogni foglio di carta vuoto”, pronto a formare un’immagine anamorfica che tuttavia solo lo specchio del ricordo, spazio ripetutamente “animato e svuotato”, sembra poter rendere riconoscibile.

In tal senso, volendo rintracciare la genealogia di un’esperienza poetica affatto consapevole del ruolo svolto dalla tradizione, ma non per questo da essa irrigidita entro un canone consequenzialmente definibile, la prossimità, non di rado screziata d’una visionarietà di ascendenza sudamericana, che Simic manifesta con Emily Dickinson (alla quale dedica un meraviglioso pezzo, Scatole cinesi e teatrini delle marionette, fra i migliori di quelli che compongono La vita delle immagini) ed Elizabeth Bishop si amplia – lo testimoniano in massima misura i taccuini (pubblicati col titolo Il mostro ama il suo labirinto, Adelphi 2010) – fino a recuperare l’originaria vena slava (nato a Belgrado nel 1938 come Dušan Simic, nel ’54 il poeta approdò con la sua famiglia a Chicago). Il suo sentire poetico sembra allora consonare non soltanto con quello della Szymborska e di Zbigniew Herbert ma specialmente con quello di Oscar Vladislas Milosz. Comune a questi autori si mostra infatti il bisogno, più che di accordare la propria scrittura con quell’“eterno imperfetto” che modifica la visione delle cose e degli esseri e fissa la loro rappresentazione in una sorta di straordinaria dilatazione della durata, di declinarla nei modi di un “futuro grammaticale della nostalgia”: un futuro – ha scritto Milan Kundera di Milosz – che “proietta un passato sconsolato in un lontano avvenire; che trasforma l’evocazione malinconica di ciò che non è più in tristezza lacerante di una promessa irrealizzabile”. Lo testimonia esemplarmente il timbro col quale suonano i versi degli Scritti dei mistici (da Hotel Insonnia): “In una casa che verrà presto abbattuta, / di colpo silenziosa, estranea al mondo…”.

Nondimeno la malinconia che intride la scrittura di Simic, e che è anzitutto rimpianto per la perduta felicità di riuscire a superare il dolore dell’esistenza individuale, è connaturata così profondamente alla sua vocazione poetica da rendere del tutto adiafora una sua verifica di indole formale. Questa del resto non potrebbe che confermare, anche solo limitandosi a rilevare l’uso alquanto frequente dell’enjambement, emblematico sintomo del disaccordo fra suono e senso, quanto per Simic scrivere significhi – per usare parole di Jean Starobinski – “stilare sulla pagina bianca dei segni che diventano leggibili solo perché sono speranza oscurata”. Da questa contradictio in adiecto la poesia – avverte Simic – deve trarre ispirazione, lasciando che l’aporia si sviluppi in essa senza mai risolversi. Da lettore assiduo ed appassionato dell’ Anatomia della malinconia di Robert Burton (“il libro sull’infelicità più brioso di tutta la letteratura inglese”, afferma nel Mostro ama il suo labirinto), Simic certo non ignora il riferimento a Democrito di cui si legge in quest’opera, e del pari al riso e all’indignazione con cui fin dallo Pseudo-Ippocrate la sua figura è andata identificandosi. Ed è proprio al ridere di Democrito, tanto più sprezzante, oltre che più piacevole – rilevava già Montaigne – del lugere di Eraclito, che pare opportuno che la poesia si conformi, se non vuole cadere nel manierismo. L’ironia, spesso tagliente e mordace, è infatti l’unica “vera Musa della Poesia”, nota Simic concludendo un breve scritto pubblicato nel ’96 e ora riproposto nella Vita delle immagini

Sebbene non estranea al comico e al grottesco, e pur non disdegnando di cedere al fescennino, l’ironia della quale Simic decide il più delle volte di avvalersi è, al pari di quella di Hrabal (come dichiaratamente traspare dal sagace ritratto che Simic gli ha dedicato sulla

Confitto in una solitudine che lo spazio letterario sembra sovente acuire, mentre “smarrito” appare il Tutto degli Assoluti, “la persona che dice di essere io” non può, ammette Simic nel folgorante Il cacciatore di immagini(Adelphi 2005) dedicato al genio irriverente di Joseph Cornell, che coltivare assiduamente e con pervicacia “il tentativo disperato di dare forma alle proprie ossessioni”. Di qui la necessità d’interrogare quell’“inconscio fisico” che – insegnava già Hans Bellmer – non restituisce alcuna immagine reale ma semplici “stenografie della sensazione”, per mezzo delle quali è possibile assistere al trasmutarsi della materia in spirito e dello spirito nella materia, e così dare un senso alla vanità dell’esistenza. Amo – dice Simic in Ragazzo prodigio (in Hotel Insomnia), quasi una chiosa alla sua poetica – la parola “scaccomatto”; in essa risuona la definitività del fallimento e, insieme, il conforto dell’insania: “una camera di compensazione per sogni e visioni” dove, per qualche breve momento, al caos malinconico è impedito di farsi organizzazione persecutrice.

Luigi Azzariti-Fumaroli

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Conosci l'autore

Charles Simic

1938, Belgrado

Charles Simic è stato un poeta e scrittore serbo, Premio Pulitzer per la poesia nel 1990. Laureato degli Stati Uniti (2007), era nato a Belgrado nel 1938 e viveva negli Stati Uniti dal 1954. Nelle sue opere è stato grande rappresentante del minimalismo, e il suo impatto sulla letteratura e la poesia è indiscutibile. Vincitore di numerosi premi, ha scritto oltre sessanta libri tra saggistica, prosa e versi. Per Adelphi sono usciti Hotel Insonnia (2002), Il cacciatore di immagini. L'arte di Joseph Cornell, Club Midnight, Il mostro ama il suo labirinto. Taccuini e La vita delle immagini (2017).

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