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Anno edizione: 2020
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Ha buon gioco Giordano Berti nello scrivere nella prefazione che “c’è davvero tanta alchimia in queste poesie nelle quali fanno capolino draghi e teschi, madri armate di spade e figlie disarmanti, vermi e farfalle...” Ma è davvero alchimia o non è più veritiero interpretare tutte queste figure come simboli della tangenza fra universo interiore e mondo esteriore di Valeria Bianchi Mian che, esprimendosi con versi che sono pura poesia, come sempre va a finire in tali casi si fa osmosi? Si può affermare come quella di Vit(amor)te di Valeria Bianchi Mian sia una poesia dalla quale si evince prima di tutto la sua preparazione analitica in quanto scandaglia i recessi della psiche umana esprimendosi in versi lineari e levigati. E’ per questo motivo che i concetti espressi vengono indirizzati con maestria dall’astrazione più assoluta alla tangibilità e si materializzano in modo concreto. Il significato del titolo del libro di Valeria Bianchi Mian viene spiegato nella poesia Il Corvo a pag. 49: con a[mor(t)e] non s’intende spiegare altro che il matrimonio è la tomba dell’amore. Una poesia assolutamente non aulica né classicheggiante bensì dai canoni postmoderni che senza farlo apparire ci parla della quotidianità riflettendosi nel mondo esterno senza idealizzarlo ma criticandolo e lo fa con sopraffina intelligenza facendone scaturire versi di pura poesia. Valeria Bianchi Mian intende trascendere il neoclassicismo ma non la poesia contemporanea esprimendosi a volte in termini schietti, senza però essere mai volgare ma piuttosto riflettendo nei suoi scritti quel materialismo che la fa da padrone nell’attualità. Da questo libro in sostanza dalle valenze negative emerge anche la sua indole positiva e cristallina nonché la sua anima pura e candida come un giglio. Quindi, per terminare da poeta (oltre che da critico quale sono), quand’anche dai “ghirigori di cirri” di un suo verso scendessero fitti aghi di pioggia la ubriacherebbero certo di gioia. Libro vivamente consigliato.
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