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Ambientato in una Milano d’epoca, infestata da “compromessi, mafie, indifferenza, cani abbandonati e amici senza futuro”, teatro perfetto di trame irriverenti e ipertrofiche, Il vizio dell’agnello è la seconda avventura di Lazzaro Santandrea.
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Una lettura quasi inutile, non vedevo l'ora di finirlo e non ci riuscivo mai..
pinketts non delude mai. Abilità narrativa stupefacente, sottile umorismo e un grande intreccio logistico della storia supportato da un finale imprevisto. unico nel suo genere...
Chi ha già letto qualcosa di Pinketts non ha certo bisogno di altre parole per esser spinto (o non spinto) a buttarsi in un altro suo libro. Pinketts è così: lingua tagliente, umorismo persin grottesco, battute che non hanno solo un doppiosenso ma un triplo, lieve malinconia di sottofondo. Può non piacere, può irritare, può risultare addirittura odioso. A me piace. E molto. Il vizio dell’agnello non è che sia proprio un thriller, no, è una storia – strana – con qualche morte di mezzo, ed è anche, forse soprattutto, la fotografia di una città, Milano – fotografia di quelle scattate con qualche filtro, magari un filtro colorato, o un filtro che sfoca leggermente. Vabè. Milano è definita dall’autore come una città di pazzi e di cani… e vi assicuro che, per come la racconta lui, pare che sia tutto vero. Bene, con Pinketts si ride, molto, per quel discorso che lui “fa sempre un po’ lo scemo”, però, in questo libro, ho notato più amarezza, ho letto racconti di solitudini, di incomprensioni. Forse è per questo che, a me, è piaciuto di più rispetto a Lazzaro vieni fuori. C’è da dire, però, che aspetterò un po’ prima di leggere un altro dei suoi libri… ho bisogno di disintossicarmi da questo autore così invadente
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