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Lo ricordava anche Edward W. Said che, di fronte alla presenza di molti intellettuali professionisti al servizio del potere costituito, si sente oggi il bisogno di donne e uomini di cultura con la vocazione di dire la verità alla politica. Si tratta senz'altro di una vexata quaestio, mai risolta né forse completamente risolvibile. Tuttavia, proprio per questo motivo, è necessario riproporla aggiornata al contesto mutato. Con imprescindibili e personali considerazioni sul ruolo dell'intellettuale, Goffredo Fofi allarga però lo spettro della propria riflessione: a interessarlo sono le "minoranze etiche", composte da quelle persone che scelgono di essere minoranza per rispondere a un'urgenza morale.
Non vengono svolte dall'autore molte distinzioni tra minoranze etiche che agiscono nel sociale e minoranze artistiche o intellettuali, che hanno altri doveri e agiscono secondo altre modalità. Dalla propria esperienza di vita, egli trae le indicazioni che lo portano a esprimere un pensiero intriso di disincantato realismo e intransigente volontà. Se come osserva il potere corregge se stesso solo quando è costretto, il problema diventa quello di "costringerlo al rispetto di certi diritti, per il soddisfacimento di certi bisogni". Le armi invocate sono quelle della disobbedienza civile: "non violenza" e "non collaborazione". A fondamento di tutto è rivendicata la verità, la "non menzogna" o, forse meglio, la "trasparenza", una parola che deve essere connaturata alla minoranza. Essere trasparenti, in effetti, significa anche escludere come punto di arrivo il potere: il fine principale delle minoranze etiche è di esprimergli critiche, allo scopo di metterlo continuamente in crisi e obbligarlo a riflettere sulle sue mancanze e responsabilità. Il pericolo per le minoranze è di trasformarsi in élite, ma assicura Fofi "ci si accorge subito se una minoranza si trasforma da elemento di disturbo in elemento di potere: basta guardare alla perdita di peso del compito che ci si era dati all'inizio e al prevalere della preoccupazione per la propria sopravvivenza e autoaffermazione". Importante è tenere presente che le minoranze non devono affatto trasformasi in maggioranze, perché "minoranza è un valore in sé". Occorre rivendicare la marginalità come un ruolo necessario, con la sua carica di irrequietezza e insoddisfazione, che si manifesti duttile e non corruttibile.
Agli intellettuali spetta pertanto un compito peculiare: avere "l'obbligo morale, determinato dalla possibilità che hanno di studiare e capire più e meglio degli altri, di osare esser minoranza, di scegliere di essere minoranza, di mostrare una diversità reale, di legare la propria ricerca a una qualche forma di intervento sociale". Alla verità e, pertanto, all'anticonformismo dovrebbe educare anche l'università, che, invece, secondo Fofi, si rivela essere per lo più "una macchina per produrre intellettuali agnostici, privi di qualsiasi fede e perfino di qualsiasi istinto di non accettazione, generalmente poco sensibili ai loro doveri pedagogici ed educativi e salvo qualche eccezione sempre pronti ad adeguarsi, a stare al gioco in cui la generazione che li ha preceduti li ha costretti, magari con l'unica ambizione di sentirsi dalla parte di chi conta, della società costituita".
Davide Cadeddu
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