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Anno edizione: 2013
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lettura interessante, in quanto nata dopo l'accaduto. Non facile, mi ha lasciato una profonda tristezza addosso, nel sapere che lo Stato ha lasciato morire un uomo così, solo per questione politica :(
La caratura di Imposimato è tale da crearmi qualche dubbio ma tante cose non mi convincono. Perchè utilizzare, in un caso tanto delicato e affiancati dal meglio a livello mondiale in fatto di agenti e personale, questi poveri "carristi" arruolati da qualche giorno? e perchè questi personaggi sembrano avere una memoria di ferro su tutto meno che nel ricordare i nomi dei superiori, se non a distanza di anni? No, una ricostruzione, ahimè, poco credibile.
Libro scritto molto bene, come al solito il dottor. Imposimato ci descrive in maniera scorrevole e chiara l'Italia di quel periodo. Spero che come Gomorra, anche questo libro faccia successo.
Recensioni
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Che la “Ragion di Stato” sia il vero motivo che abbia causato la morte di Aldo Moro dopo 55 giorni di prigionia, lo abbiamo pensato un po’ tutti. Che a dirlo sia il giudice istruttore Ferdinando Imposimato è una vera rivelazione. Nato nel 1936, Ferdinando Imposimato è avvocato penalista, magistrato, nonché Presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione. È stato giudice istruttore in alcuni dei più importanti casi di cronaca degli ultimi anni, tra cui il rapimento di Aldo Moro, l’omicidio di Vittorio Bachelet, l’attentato a Giovanni Paolo II. Grand’ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica italiana, ha ricevuto diverse onorificenze in patria e all’estero per il suo impegno civile.
All’indomani dal rapimento di Aldo Moro fu l’allora Ministro dell’Interno del governo Andreotti, Francesco Cossiga, a conferirgli l’incarico di Giudice Istruttore. A quei tempi, correva l’anno 1978, Ferdinando Imposimato si stava occupando di molti casi illustri di sequestro di persona, distinguendosi per la sua linea dura di non collaborazione con i banditi. Giunto ad occuparsi del caso Moro sin dai primi giorni dopo l’uccisione del leader della DC, aveva identificato e interrogato le cellule terroristiche delle Brigate Rosse. Il risultato delle prime tre istruttorie era stato il rinvio a giudizio di cinquanta uomini. Dalla sua sentenza era emersa una verità storica: “le Brigate Rosse, armate di spirito rivoluzionario, avevano portato l’attacco al cuore dello Stato impersonato dal Presidente della DC Aldo Moro”. Per molti anni il giudice aveva creduto fermamente alla piena responsabilità dei brigatisti, a chi gli avesse chiesto in quegli anni se ci fosse qualcuno dietro le BR, avrebbe certamente risposto con convinzione e in buona fede “Dietro le Brigate Rosse ci sono solo le Brigate Rosse”. Senza nessun dubbio.
Eppure con il passare degli anni, lentamente e inesorabilmente, molti dubbi si sono insinuati nell’animo del giudice: prima la scoperta di documenti secretati della Commissione Stragi, poi il Caso Gladio, l’affare Mitrokin e la scomparsa di troppi documenti relativi alla sua prima sentenza, persino di filmati e testimonianze. A distanza di trentacinque anni Ferdinando Imposimato ritorna a quelle carte e a quelle testimonianze, ripercorrendo ogni singola ora di quei 55 giorni di prigionia, fino a giungere all’amara considerazione che la verità ufficiale sia davvero molto distante rispetto alla realtà dei fatti. “La tragedia di tutta questa vicenda”, ammette il giudice con profondo rammarico, “è la convinzione da parte della stragrande maggioranza degli italiani, che il governo abbia fatto bene a seguire la linea dell’intransigenza verso i terroristi”.
In realtà in queste pagine verrà dimostrato con grande arguzia, non solo che l’omicidio di Aldo Moro poteva essere evitato, ma che la stessa “Ragion di Stato” avrebbe suggerito di impedire che l’omicidio avvenisse.
Già nel precedente lavoro pubblicato dall’autore con Sandro Provvisionato, Doveva morire (Chiarelettere, 2009), si rendevano note le testimonianze scottanti di alcuni personaggi chiave della vicenda, come l’agente dei servizi segreti statunitensi, braccio destro di Kissinger, Steve Pieczenik. In questo ulteriore approfondimento si tirano le somme di trent’anni di indagini, ricerche, approfondimenti a tutto campo. Si collegano diversi filoni di inchiesta alla ricerca di una verità oggettiva, anche grazie alla testimonianza di due agenti in servizio durante i 55 giorni del sequestro, un Brigadiere della Guardia di Finanza e un alto ufficiale dell’Esercito, membro di Gladio. La scoperta sconcertante che si fa scorrendo la grande mole di documenti contenuti in queste appassionanti pagine è che Moro si stato sacrificato scientemente e consapevolmente dai vertici del suo partito alla scopo di stabilizzare la situazione italiana, creando una unanime repulsione da parte dell’opinione pubblica per i brigatisti e per i comunisti.
Per avvalorare questa tesi, che nasce dalla testimonianza-confessione di un agente sei servizi segreti, il giudice Imposimato dimostra che le forze dell’ordine conoscevano sin dal primo momento il nascondiglio in cui era stato imprigionato Aldo Moro, tenevano sotto controllo sia la strada che la casa di via Montalcini, avevano preso contatto con i brigatisti e potevano, volendo, fare irruzione in ogni momento per salvare la vita del prigioniero.
Non lo hanno fatto, lasciando che si aprisse una spirale di violenza incontrollata e che i misteri italiani si autoalimentassero senza nessun controllo. Come dice lo stesso Aldo Moro in una delle sue lettere spedite durante la prigionia al suo compagno di partito Zaccagnini, i vertici della Democrazia Cristiana, non intervenendo, hanno scritto “una pagina agghiacciante della storia d’Italia”.
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