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Nel presente lavoro si è tralasciato di analizzare le questioni relative all'abuso del processo, per quanto a Roma la distinzione tra diritto materiale e processuale fosse del tutto ingiustificata dal punto di vista del merito: la questione dell'abuso concerne qui completamente un altro livello tecnico e ai giuristi romani non sfuggì il problema. Lo testimonia la concisa ed efficace lezione delle Istituzioni di Gaio (Gai 4.171-182), nonché l'intero titolo delle Istituzioni giustinianee (I. 4.16) De poena temere litigantium: queste ammo-nivano le potenziali parti processuali dinanzi alla tentazione di ricorrere fa-cilmente alle vie legali ed erano dell'avviso che la stessa esistenza di alcuni strumenti processuali avesse proprio lo scopo d'impedire tale fenomeno. Nello studio del diritto romano questo tema è stato di recente diffusamente trattato da Chiara Buzzacchi (L'abuso del processo nel diritto romano, Mila-no, 2002); dei problemi da lei discussi si sono pure occupati nei rispettivi ar-ticoli Donato Centola (Alcune osservazioni in tema di 'calumnia' nel proces-so privato romano dalla repubblica al principato, in SDHI, LXVI, 2000, 165-199) e Ernesto Bianchi (La 'temerarietà' nelle Istituzioni di Gaio (4.171-182), in SDHI, LXVII, 2001, 239-315) e una notevole parte del proprio lavo-ro dedicò al diritto romano anche Francesco Cordopatri (L'abuso del proces-so, Padova, 2000, I, 51-163). I risultati di dette analisi sono stati tenuti in considerazione nel corso del presente lavoro. Da essi infatti si evince che i Romani avvertirono la possibilità dell'abuso del processo e quindi la necessi-tà di opporvisi efficacemente: vale la pena sottolineare il loro sforzo per rea-lizzare questo scopo con strumenti giuridici assai diversi.
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