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2012 - Nastri d'Argento Miglior Attore Protagonista Favino Pierfrancesco
2012 - Nastri d'Argento Miglior Attore Non Protagonista Giallini Marco
Voto 3,5. Film veramente bello da vedere : tratta davvero bene i fatti narrati, tanto che la realtà e la cinematografia si uniscono così bene che a volte non se ne riconosce il limite. La regia è notevole, mentre l'interpretazione di Favino vale da sola l'intero film. Molto drammatico, perchè, oltre ai fatti già di per sè drammatici, tratta di storie personali molto infelici. Consiglio vivamente
Carlo Bonini prima narra e Sollima a seguire conduce queste le poche parole con le quali poter definire una pellicola, e ancora prima un romanzo, dura e senza fronzoli, inno al machismo da strada e a un settore, quello della celere che non lascia nulla alla fantasia. Cobra, Mazinga e Negro altri non sono che nomi di battaglia di tre commilitoni che tra loro si definiscono fratelli, in un clima di violenza offerta subita e decisamente surreale, una violenza che attraversa la vita di ognuno di loro in ogni aspetto: dal figlio di Mazinga che non accetta l'autorità paterna, a Negro prossimo al divorzio e con difficoltà con l'ex moglie, che gli vieta di vedere la figlia, per finire con Cobra processato per un atto di violenza gratuita ed eccessiva consumata durante un intervento nel corso di una partita. In mezzo a loro improvvisamente giunge però una variabile nuova e forse impazzita, di certo da instradare, ovvero Adriano, giovane recluta che deve venire prima accettato dal gruppo, assimilarne usi e costumi ai limiti del tribale, lottare per farsi rispettare, salvo combattere al fine al fianco dei propri nuovi fratelli, ma anche lui macchiato dallo stigma di un'esistenza problematica, che assume le vesti di una madre prossima a uno sfratto esecutivo. Sollima mette quindi in pista, con rara efficacia, un manipolo di attori affiatati e abili nel descrivere personaggi ai margini della legalità, il tutto incastonato in una pellicola che narra una Roma differente, ma potremmo veramente essere in qualunque grande città; una Roma vista attraverso un gruppo che si esalta per azioni di guerriglia urbana che dovrebbero ripianare gli errori dei politici e delle istituzioni, ponendosi quindi spesso al di sopra di quella legge che per primo il gruppo dovrebbe seguire. Un film quindi molto duro che offre un punto di vista molto controverso e difficile da approvare esattamente come è stato il romanzo dal quale è stato tratto.
Si respira freschezza nei confini del Ns. cinema. Una freschezza che trasuda paradossalmente la sporcizia della città; una carica di tensione onnipresente e l'odio pompato da un gruppo di personaggi con cui non è facile fraternizzare emotivamente. Ma poco importa: il regista compie il suo passaggio ufficiale cinematografico dopo averci regalato una delle migliori produzioni italiane di sempre con "Romanzo Criminale - La serie". Gli "sbirri cattivi" perfettamente espressi da Favino, Giallini, Nigro, Sartoretti e Diele sono l'ultimo baluardo tra equilibrio e caos. Hanno però un difetto: sono tutti umani e, nel momento in cui vengono piazzati nel bel mezzo della guerra, sono pronti a diventare dei veri Terminator. Una volta sfoderato il manganello non si torna più indietro. Le ossa vengono spezzate, i denti frantumati e frenarsi è impossibile. Il poliziesco anni '70 torna a farsi strada sul grande schermo in maniera intelligente, assumendo anche le caratteristiche di un potente film sociale nel momento in cui sceglie di investire, seppur di striscio, eventi reali mettendoli al servizio della trama. Ma Acab è soprattutto un ottimo film italiano. Più nero che mai nei temi e nelle soluzioni visive, il film di Stefano Sollima presenta un paio di sequenze che lasciano a bocca aperta: l'inizio con Favino pronto a scatenare la bestia dentro di sé e la battaglia allo stadio con poliziotti in formazione da legionari e seguenti coltellate. Potrebbe benissimo essere la risposta al francese "L'odio" ma qui la prospettiva è quella giustificata dalla parola legge. Interpretato da protagonisti che danno il meglio di sé, Acab strizza l'occhio agli american-movie's appropriandosi di un impianto narrativo vincente: la Roma mostrata nel film non è meno ostile della Los Angeles di Michael Mann. Trovano spazio one-liners a effetto o frasi che fanno riflettere come quella pronunciata da Giallini: "Stanotte pagheremo una volta e per tutte il conto della Diaz". Bellissimo, da non perdere.
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