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La "stagione delle fiamme" e la "stagione delle stragi" si succedono al confine orientale nel racconto di un grande storico.
«Chi oggi, venuto da chissà dove, d'estate prende il sole a capo Promontore, al vertice del triangolo istriano, non immagina che neanche settant'anni prima dalla terra alle sue spalle metà della popolazione, quella italiana, ha dovuto prendere la via dell'esilio. Chi naviga fra i mille scogli della Dalmazia non sa che l'isola all'orizzonte, Arbe/Rab, ha ospitato durante la seconda guerra mondiale un campo di concentramento.»
Le terre dell'Adriatico orientale sono state uno dei laboratori della violenza politica del ʼ900: scontri di piazza, incendi, ribellioni militari come quella di D'Annunzio, squadrismo, conati rivoluzionari, stato di polizia, persecuzione delle minoranze, terrorismo, condanne del tribunale speciale fascista, pogrom antiebraici, lotta partigiana, guerra ai civili, stragi, deportazioni, fabbriche della morte come la Risiera di San Sabba, foibe, sradicamento di intere comunità nazionali. Queste esplosioni di violenza sono state spesso studiate con un'ottica parziale, e quasi sempre all'interno di una storia nazionale ben definita – prevalentemente quella italiana o quella jugoslava (slovena e croata) –, scelta questa che non può che originare incomprensioni e deformazioni interpretative. Infatti, è solo applicando contemporaneamente punti di vista diversi che si può sperare di comprendere le dinamiche di un territorio plurale come quello dell'Adriatico orientale, che nel corso del '900 oscillò fra diverse appartenenze statuali. Inoltre, le versioni offerte dalle singole storiografie nazionali non fanno che rafforzare le memorie già a suo tempo divise e rimaste tali generazione dopo generazione. Sono maturi i tempi per tentare di ricostruire una panoramica complessiva delle logiche della violenza che hanno avvelenato – non solo al confine orientale – l'intero Novecento.
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L'amarezza non risiede solo nel titolo dell'opera, ma anche nel fatto che l'Autore, raccontando le violenze caratterizzanti i territori adriatici a partire solo dal 1882, ignora le responsabilità di Francesco Giuseppe che, nel Consiglio della Corona del 12/11/1866, ordinava di agire contro gli italiani del Trentino, Venezia Giulia, Istria e Dalmazia per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori [...] con energia e senza riguardo. Finché in vita, la Repubblica di Venezia aveva saputo conciliare le esigenze del popolo slavo e italiano sui suoi territori. Ceduta la Serenissima all'Austria, questo prezioso equilibrio è venuto meno, anche perché nell'impero asburgico si affermava l'ideologia dell'austroslavismo che si prefiggeva di raggiungere le finalità del nazionalismo slavo dentro lo stato imperiale. Le violenze contro gli italiani, avviate all'inizio dell'800 da Radetzky e Gyulai, governatori del Lombardo veneto e di Trieste, obbedivano a questo progetto politico e s'intensificarono con le disposizioni del Consiglio della Corona: chiusura delle scuole italiane, croatizzazione dell'amministrazione statale, slavizzazione della toponomastica e sopraffazione degli italiani, svelando che non fu il fascismo a partorire queste misure per primo. Il volume del prof. Pupo, però, dimentica queste implicazioni e la genesi vera della «lunga storia di violenza» tra italiani e slavi. L'Autore trascura aspetti fondamentali della verità storica e fa ricadere sul fascismo l'origine dello scontro tra le due etnie, mentre il fascismo aveva soffiato sul fuoco acceso dagli austriaci. Sebbene al fascismo non siano certo mancate grandi responsabilità nel conflitto, non gli si può attribuire la colpa di aver iniziato la guerra con gli slavi giacché, come si sa, nel 1866 esso non esisteva. Dall'ambiguità di questa premessa deriva la poco obiettiva lettura degli avvenimenti, analizzati anche questa volta secondo la vulgata corrente cui l'Autore sembra essersi richiamato.
Un testo che dovrebbe essere divulgato nelle scuole. Una pagina di storia drammatica dell'Istria, dalla dissoluzione dell'impero Asburgico all'occupazione jugoslava. Le feroci occupazioni nazi-fasciste e partigiani, comunisti italiani e slavi. Un dramma non sufficientemente studiato delle popolazioni giuliane-dalmate.
Il testo è davvero ottimo. In poco più di 250 pagine viene offerto uno sguardo completo delle vicende della Venezia Giulia tra il sorgere dell'irredentismo e la fine del TLT. Lo sguardo approfondisce i vari fenomeni (soprattutto violenti, purtroppo) di natura etnica, politica, bellica e anche confessionale che la interessano le terre giuliane durante quei travagliati decenni, e lo fa in maniera corretta, senza partigianeria di alcun tipo. Inoltre, il libro è scritto molto bene, è scorrevole e non annoia affatto.
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