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Anno edizione: 2013
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Dopo gli articoli viennesi di Il caffè dell'undicesima Musa (2005), Adelphi propone una nuova raccolta di Joseph Roth giornalista. Si tratta questa volta di resoconti di viaggio e recensioni letterarie di ambientazione francese, oltre a un lungo saggio su George Clemenceau. Anche se alcuni di questi pezzi, a cura di Katharina Ochse, erano già stati tradotti in italiano in Ebrei erranti (1985; cfr. "L'Indice", 1985, n. 5) e in Le città bianche (1987), il libro offre un ritratto dello scrittore ancora in gran parte inedito. Roth si trasferisce a Parigi nel 1925, come corrispondente della "Frankfurter Zeitung". Attraversare la Francia, in particolare le regioni mediterranee, è il suo modo di riappropriarsi delle radici culturali comuni dell'Europa e dare forma all'utopia di un continente unito e in pace. A Parigi come a Marsiglia, a Lione come a Nizza, Roth prova a convincersi che "ogni luogo è patria". È per questo che più avanti, a spasso per la Provenza, gli viene in mente un verso di Mistral: "Razze? ma se di sole ce n'è uno solo". Il protagonista autobiografico dei suoi articoli "perditempo" nel senso in cui lo sono i personaggi dei suoi romanzi è però un viaggiatore che non si accontenta mai di soluzioni consolatorie e porta con sé una faticosa ricerca esistenziale: "Nessuna guida dà una risposta. Siamo qui per interrogare". Un'inquietudine confermata dalla ripugnanza per lo spettacolo della corrida, cui Roth assiste a Nîmes e descrive prendendo le parti del toro, quale simbolo del destino sacrificale del popolo ebraico. Per l'autore di Al bistrot dopo mezzanotte, l'identità è qualcosa che ormai va misurata da lontano, nella dimensione solitaria del distacco. È soltanto andando via, infatti, che si può forse ritrovare un legame con "la propria infanzia e quella dell'Europa". "Chi lascia il paese", spiega Roth, che qualche anno più tardi sarà costretto all'esilio, "porta con sé ciò che di più prezioso una patria può donare: la nostalgia".
Luigi Marfé
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