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Mentre prosegue la pubblicazione dell'Inventario generale dei disegni varato nel 1986 da Anna Maria Petrioli Tofani, il Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi inaugura, sotto la direzione di Marzia Faietti, l'Inventario generale delle stampe. Sembra un'impresa pazzesca in tempi in cui il ministero lesina i fondi e le iniziative dei suoi funzionari costituiscono il bersaglio preferito di una critica fattasi sempre più astratta e autoreferenziale. Basta tuttavia prendere in mano questo splendido primo volume della collana per convincersi del contrario. Facendo convergere sulle splendide incisioni di Albrecht Dürer la competenza scientifica di Giovanni Maria Fara, la sapienza editoriale delle edizioni Olschki e il generoso sostegno economico della Finmeccanica, Marzia Faietti è riuscita a dare il miglior avvio possibile a una collana che si annuncia come un imprescindibile punto di riferimento per lo studio e l'apprezzamento di quelle affascinanti opere d'arte che sono le stampe degli antichi maestri.
Il libro si apre con una premessa di Cristina Acidini, una più corposa presentazione programmatica di Marzia Faietti e un denso saggio di Rainer Schoch, coautore, assieme a Matthias Mende e Anna Scherbaum, del più recente e accreditato catalogo delle incisioni di Albrecht Dürer. Le quasi cinquecento pagine che seguono questa vera e propria "porta d'onore" si devono per intero a Fara. Il cuore del lavoro è costituito dal catalogo di tutti i bulini, le acqueforti, le puntesecche e le xilografie di Albrecht Dürer in possesso del Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi. Si tratta di centoquarantasette schede relative a fogli singoli o intere serie di stampe, attraverso le quali viene preso in esame pressoché per intero il monumentale corpus grafico dell'incisore tedesco. La qualità degli esemplari esaminati è di norma altissima e perfettamente riflessa nello straordinario apparato illustrativo del volume. Ciò ha permesso a Fara di strutturare le schede in modo da limitare al minimo il momento meramente descrittivo per potenziare, invece, al massimo le zone di più specifico interesse per i diversi cultori della materia. I dati tecnici, le osservazioni storiche e stilistiche, le notizie sul collezionismo e la fortuna critica si susseguono entro una griglia sistematica ed elastica a un tempo, che facilita la consultazione degli addetti ai lavori senza per questo intimorire i semplici curiosi.
L'ordinamento delle schede è quello tradizionale per tecniche e per temi, una scelta assai opportuna. Evidentemente ciò che sta a cuore a Fara non è tanto di offrirci l'ennesima biografia di Albrecht Dürer sub specie graphicae, quanto di farci comprendere la grandezza artistica e il cruciale ruolo storico delle incisioni del maestro tedesco. È per questo che nel suo libro, più che la morte di Albrecht Dürer nel 1528, assume un significato periodizzante la pubblicazione nel 1686 delle "notizie" che sullo stesso ebbe a raccogliere Filippo Baldinucci. Personaggio chiave per l'intera storia del collezionismo mediceo, lo storico fiorentino costituisce in effetti una pietra miliare nella vicenda variegata e complessa della fortuna di Albrecht Dürer in Italia.
Il tema costituisce senz'altro una delle novità più rilevanti del catalogo. In ogni scheda sono segnalate sia le copie incise dell'opera in esame dovute a incisori italiani, sia le derivazioni più o meno fedeli riscontrate in disegni, dipinti, sculture, maioliche e altri manufatti d'arte italiana di età rinascimentale e barocca. Il lavoro sporadicamente avviato dagli studiosi precedenti è portato avanti da Fara con encomiabile sistematicità e capillarità d'indagine. Basta scorrere l'indice dei nomi e dei luoghi in calce al volume per rendersi conto di quanto stretto si sia fatto ormai lo spazio per ulteriori scoperte in questo campo. Da nord a sud, da est a ovest dell'Italia, nessun centro o personaggio artistico significativo sembra essere sfuggito nel Cinque e Seicento al fascino prorompente delle incisioni di Albrecht Dürer. A volte la derivazione è puntuale, a volte riguarda solo l'idea, a volte coinvolge tutto quanto lo stile, ma sempre denuncia un'ammirazione incondizionata per il maestro di Norimberga e per la sua straordinaria inventiva e acribia rappresentativa.
Il lucido, bellissimo saggio che introduce il catalogo fornisce le coordinate essenziali per intendere la portata delle questioni in gioco. Con l'invidiabile nonchalance che nasce da una lunga consuetudine, Fara vi tesse in un discorso storico complessivo ciò che nelle schede appare solo come approfondimento specifico. L'ossatura dell'argomentazione è offerta dall'ormai familiare partizione per soggetti e per tipologie, ma lo spirito che l'attraversa e che la anima attinge principalmente alla testimonianza delle fonti letterarie e documentarie. Quest'occhio di riguardo per la parola scritta in un contesto propriamente dedicato all'immagine incisa merita di essere sottolineato. L'avvento pressoché contemporaneo della stampa figurativa e di quella tipografica nell'ultimo secolo del medioevo impresse infatti nuovo vigore al vecchio parallelismo classico e cristiano tra il linguaggio verbale e il linguaggio visivo. Giustamente Fara include i trattati d'arte nel suo resoconto della ricezione italiana di Albrecht Dürer e riaccosta alla colossale xilografia con l'arco in onore di Massimiliano I d'Asburgo la lunga didascalia che l'accompagnava, riportandola in appendice sia nel testo originale tedesco che in una nuova traduzione italiana.
L'incisione è ancora considerata da molti storici dell'arte italiani come un orticello adatto alle cure amorose di pochi specialisti. Le pesanti conseguenze di un simile modo di pensare cominciano però a suscitare anche da noi un diffuso senso d'imbarazzo e non mancano i segni di un lento ma deciso cambiamento di rotta. Il libro di Fara cade dunque al momento opportuno per dare il contributo decisivo al reinserimento della più originale tecnica artistica moderna nel corpo vivo degli sviluppi iconografici e stilistici cui appartiene di diritto. Marco Collareta
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