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L’amata perduta di cui ci parla questo «romanzo in racconti» è innanzitutto Praga, ma anche il passato, il padre e figure di donne che appartengono a quel passato – esseri della memoria da cui l’autore ha dovuto congedarsi e ora ritrova, dopo lunghi vagabondaggi, nel mondo extraterritoriale della narrazione. L’avvio è nell’infanzia: due colibrì imbalsamati, un profumo di mele arrostite, il «caos paradisiaco» di un solaio, la cadenza di una filastrocca, l’incanto di una trapezista, un castello misterioso. Come chiazze successive di colori, i fatti si dispongono intorno al narratore, gli si sovrappongono, ne intridono la figura. Urzidil è riuscito nell’impresa di raccontare frammenti della sua vita nel tono più intimo, ma riuscendo a mimetizzare l’Io in una fioritura disparata di personaggi, dal fattorino Kubat, col suo berretto rosso, che recapita impeccabilmente messaggi amorosi e fatali, alla piccola Otti Stifter, mite folletto che sembra reincarnare, nel nome e nel destino, il grande Adalbert Stifter. Storia dopo storia, questa prosa isola alcuni tratti lucenti nel tortuoso, oscuro formarsi dell’esperienza.
Amico di Kafka (fu lui a pronunciare il discorso commemorativo dopo la morte dello scrittore), giovane poeta espressionista nella Praga intorno alla prima guerra mondiale, Urzidil scoprì la sua vera vocazione e il suo timbro di narratore piuttosto tardi, quando l’esilio lo aveva spinto negli Stati Uniti. L’amata perduta, pubblicato nel 1956, è appunto il libro in cui la sua arte si dichiara pienamente: un’arte dell’evocazione, mirabilmente concreta e precisa, ricca di umori e di humour, che presuppone un’assenza, una irreparabile perdita: «Un giorno ci accorgiamo che qualcosa di indicibilmente serio viene sempre più vicino a noi e vuole essere accolto nella nostra coscienza. Un giorno comprendiamo il senso del commiato. Un giorno! o meglio, un attimo di un certo giorno, un attimo del tutto indifferente, sobrio e privo di pathos: forse stiamo solo avvicinando un bicchiere alla bocca, o temperiamo una matita, o ci accomodiamo su una poltrona, o forse addirittura non facciamo niente, stiamo soltanto seduti e guardiamo davanti a noi».
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Questo libro é stato una scoperta. L'ho acquistato senza aver mai sentito parlare né dell'autore (in realtà piuttosto noto per chi ama la letteratura mitteleuropea) né dell'opera, attratta invece dal magico Odilon Redon che spicca in copertina e che é stato uno dei miei amori adolescenziali insieme al simbolismo e a Baudelaire. . . Ebbene, L'amata perduta sono undici racconti autobiografici nei quali Urzidil narra del proprio amore, intriso di nostalgia e di rimpianto, per Praga e i suoi abitanti. Ci imbattiamo cosí in una schiera di fantasmi femminili tra cui bambine defunte, ragazzine taumaturghe, femmes fatales che suonano pianoforti in dimore diroccate, cantanti d'opera morte in circostanze misteriose, amori giovanili e la scoperta della poesia . . . Johannes Urzidil nasce a Praga nel 1896 e fu un intellettuale e scrittore tra le altre cose amico di Kafka. Nel 1938 l'avanzare della guerra lo costrinse a espatriare in Inghilterra e pochi anni dopo negli Stati Uniti. Morí a Roma nel 1970 senza aver fatto mai più ritorno alla sua città natale. . .
Questo libro è grande. L'amata perduta del titolo è Praga, la città vissuta dall'esilio con dolore e con desiderio del ritorno, pur sapendo che un ritorno dopo l'esilio non potrà essere come la prima volta, non potrà sanare il dolore del primo distacco. Un libro di struggente nostalgia per l'infanzia e per la città nella quale è stata vissuta la gioventù.
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