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Elia Kazan (1909-2003), anche in tempi postideologici, resta legato nella memoria collettiva al suo gesto radicale di rinnegamento degli ideali di sinistra, sotto i cui auspici aveva iniziato una prestigiosa carriera nel cinema. Nel 1999, al momento del conferimento del premio Oscar alla carriera, non furono pochi (tra gli altri Nick Nolte e Ed Norton) quelli che non si alzarono ad applaudire, stigmatizzando la sua collaborazione con il regime poliziesco di McCarthy, che aveva emarginato o costretto alla fuga tutti il mondo culturale legato alla sinistra (come racconta memorabilmente Dalton Trumbo nel notevolissimo Lettere dalla guerra fredda, Bompiani, 1977).
Anche in Italia i fatti della storia personale del regista hanno messo decisamente un velo sulla sua produzione, che pure vanta non pochi classici amatissimi. Basti qui citare Un tram chiamato desiderio (1951) e La valle dell'Eden (1955), che furono anche veicolo di divismo rispettivamente per Marlon Brando e James Dean, senza scordare il romanticissimo Splendore nell'erba (1961), storia di amori infelici e rovine familiari, interpretata da una Natalie Wood in stato di grazia. La sua produzione letteraria era arrivata in Italia nell'onda del successo cinematografico, sbiadendo dall'inizio degli anni settanta. Negli ultimi anni la ripropone Mattioli 1885, che nel 2007 ha edito Il compromesso. Arriva ora opportunamente nelle librerie la scrittura più autobiografica del regista, vera e propria storia di famiglia, che allo stesso tempo diviene cronaca delle migrazioni di un popolo. America America (traduzione efficace di Nicola Manuppelli) era uscito in Italia due volte (nel 1963 da Mondadori, a un anno di distanza dalla presentazione negli Stati Uniti e nel 1985 da Frassinelli), nel secondo caso con il titolo del film così come venne proposto in Italia: Il ribelle dell'Anatolia.
L'epopea di Stavros (che riecheggia effettivamente la contrastata vita dello zio dell'autore) è quella di un greco di Turchia, che riesce, a prezzo di sacrifici terribili, a mettere insieme la somma che gli serve per recarsi nel Nuovo mondo, a cui affida tutte le sue speranze di riscatto. L'esistenza del suo gruppo familiare è infatti sempre più precaria, in un paese che stava vivendo l'attacco alla comunità armena (la vicenda si apre con un vero e proprio pogrom che segue un attacco a Costantinopoli) e in cui gli equilibri creati nei secoli dell'impero ottomano andavano rapidamente in rovina. La scrittura che Kazan propone è per immagini e azioni, ha il ritmo di una sceneggiatura, è fatta di piani-sequenza e di dettagli. Il film omonimo, contrastato, forte, non aveva attori noti e si basava, quasi ossessivamente, sul volto di Stathis Giallelis, star di un solo film. Una faccia scavata, incisa, perfetta per incarnare una vicenda di umiliazione e riscatto. La vicenda si conclude su una possibile speranza, con il protagonista che scandisce: "C'è gente che aspetta", pensando tanto ai propri clienti in una strada di Brooklyn, che alla famiglia d'origine, che attende sullo sfondo degli aspri paesaggi dell'Anatolia di poter finalmente giungere al luogo della speranza.
Luca Scarlini
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