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Anno edizione: 2017
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Devo ammetterlo non ho comprato questo album, l'ho solo ascoltato da un amico. Debbo dire che l'ho trovato pretenzioso e poco sincero. Forzato, come tutta la musica(e non solo) che prede de di essere portavoce di verità assolute. E poi, per me, è tutto già ascoltato. Niente di nuovo. Spiace che nel pop italiano non ci sia nessuno che riesca a spiccare il volo.
Sono una novità nella musica italiana, sono veramente fuori da ogni schema nel senso positivo del termine. Bellissimo cd
Massì dai, lo stato sociale non è male
Recensioni
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“Le canzoni sono cose piccole e non servono a niente se non a scegliere da che parte stare”. Lo Stato Sociale è sociale anche per cose come questa: uno slogan velleitario, certamente di sinistra (di questi tempi mica è scontato) su un cartello alla fine del video di Vorrei essere una canzone – dove nel frattempo si sono baciati sulla bocca il chitarrista e il pianista. La canzone comincia come l’avrebbe cominciata Vasco Rossi, e ti invita a metterti in fila dietro un ingorgo di metafore automobilistiche (“vorrei essere una canzone / per cui non vedi l’ora di uscire da una galleria”), ultraquotidiane, un poco claustrofobiche.
Contano molto Bologna, i suoi portici e i suoi fantasmi. I contorni. I dintorni. Se c’è un punto dove si intrecciano le linee immaginarie che uniscono i Cccp Fedeli alla linea e Luca Carboni, Francesco Guccini e i Lunapop, più o meno da quelle parti ci trovate Lo Stato Sociale, ex conduttori radiofonici che hanno mantenuto il vizietto di non esporsi troppo in persona e mandare avanti per prime le canzoni, poi le parole. Il mezzo è il messaggio. Elettropop. Giro di Do. Pet Shop Boys. La differenza tra Lo Stato Sociale e tutti gli altri è precisamente questa: le loro canzoni sanno già da che parte stare. Si tratti di malinconie di coppia navigata (“non fosse che io ho paura di crescere / e tu hai paura di nuotare”), sit-com cantautoriali (“in questa giungla di tofu e seitan (…) abbiamo finito la felicità”), incazzature social (“nasci rockstar e muori giudice di un talent show”), tentativi di costruire almeno un Rovazzi di sinistra ora che si è dimostrato impossibile fabbricare neppure un Renzi (“qui non c’è il ritornello / mi diverto lo stesso”).
Non una parola sul malgoverno, il futuro della sinistra, la mancanza di futuro, le fake news, la voglia di uomo forte (tutto racchiuso nella categoria dell’“inferno a fuoco lento”, secondo un loro stesso verso). Questo no. Che bisogno ce n’è quando, sotto sotto, già pendi verso la migliore delle ipotesi, o almeno verso il minimo danno: “Questo paese ha bisogno di silenzio / e io non lo sto aiutando”. Non è scontato. Un mondo migliore verrà.
Recensione di Alberto Piccinini.
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