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Nel romanzo autobiografico Cosima, ritrovato manoscritto in un cassetto dopo la morte di Grazia Deledda, è descritto a un certo punto il portalettere che consegna ogni giorno la posta alla protagonista: "Per Cosima rappresentava un personaggio quasi mitologico, apportatore di bene e di male, e quando ne sentiva la voce di lontano tremava come se il destino fosse in cammino verso di lei". Per posta arrivano alla giovanissima Grazia, di cui Cosima è il trasparente alter ego, le riviste che alimentano la precoce passione letteraria, le prime bozze dei suoi scritti, le lettere e i versi di ammiratori sconosciuti che la fanno sognare; la posta è il tramite che collega al mondo l'appartata e patriarcale dimora di Nuoro che, tra il frantoio delle olive e il monumentale forno del pane, sembra chiusa in un microcosmo arcaico inaccessibile a qualunque novità. Si spiega così l'importanza che rivestono gli scambi epistolari nella vita della futura romanziera, che dialoga volentieri con i direttori delle riviste sulle quali ha cominciato a pubblicare; nessuna delle sue corrispondenze per così dire "professionali" raggiunge però l'intensità emotiva di quella con Stanis Manca, pubblicata ora per la prima volta integralmente da Anna Folli, che ne ha rintracciato i testi dispersi, per poi inserirli, presentandoli e commentandoli con appassionata perspicacia, nell'itinerario creativo della scrittrice.
Nella primavera del 1891 Grazia, non ancora ventenne, sperimenta le prime emozioni della celebrità: sente una "lieve vertigine" salirle "alle radici dell'anima" (così scriverà in Cosima) quando gli sguardi dei concittadini, alla messa domenicale, la scrutano incerti tra invidia e riprovazione. Un giornalista sardo che si sta facendo strada a Roma si fa vivo con lei per chiederle qualche pagina su Nuoro: è Stanis Manca, di famiglia aristocratica, di poco più vecchio di lei e destinato a diventare in seguito un autorevole critico teatrale. La scrittrice risponde positivamente e comincia tra i due una fitta corrispondenza. Benché ci siano pervenute soltanto le lettere di Grazia, è piuttosto evidente che agli inizi Manca, intrigato dalla sua giovanissima interlocutrice, tende ad abbozzare una sorta di flirt letterario di cui avrà modo in seguito di pentirsi amaramente. C'è uno scambio di ritratti (problematico per Grazia, sempre scontenta del suo aspetto e di piccolissima statura), c'è una domanda di Stanis di cui la ragazza sopravvaluta la portata: se dovesse scegliere tra la gloria e l'amore, che cosa farebbe? Quando, in settembre, Manca, che progetta un "medaglione" sulla scrittrice, va a trovarla a Nuoro, la fantasia di lei ha già preso il volo: nel giovane alto e biondo che si prepara a descriverla in termini lusinghieri ("Così piccina co' grandi neri occhi pensosi come le eroine dei suoi racconti") Grazia vede un innamorato, forse un futuro marito. Questo equivoco, coltivato con masochistica pervicacia, sarà all'origine di una relazione singolare, fonte per Grazia di grandi sofferenze ma anche di gratificanti fantasticherie, di inebrianti divagazioni solitarie che, come dimostra Anna Folli, alimenteranno la creazione letteraria e ad essa strettamente si intrecceranno, in modo inestricabile e a volte misterioso.
La visita di Stanis, ricevuto nella "stanza terrena quasi povera" della vecchia dimora di famiglia, dove solo un'antica tovaglietta di pizzo e il vestito di seta stellata, "a puntini d'oro", di Grazia mettono una nota di eleganza, è un momento decisivo per entrambi i protagonisti di questa strana vicenda. Per Grazia è l'inizio di quella che Stendhal definirebbe la "cristallizzazione" amorosa; per Stanis, invece, è il momento del disincanto, e non a caso dopo questo primo incontro le sue lettere diventano rarissime e sempre più brevi. I segni del suo disinteresse non potrebbero essere più evidenti: eppure Grazia, l'intelligentissima Grazia, si rifiuta di vederli, e si inoltra nella via senza uscita di un monologo epistolare sempre più fervido, che si protrarrà per circa tre anni. Nemmeno la rivelazione di Stanis che, spazientito, finisce per spiegarle di aver visto in lei, incontrandola di persona, una sorta di nana, scoraggia la minuscola e tenacissima sognatrice, che continua imperterrita la sua romantica persecuzione. Quando, alla fine, richiederà all'amato le sue deliranti missive, Stanis rifiuterà di restituirgliele, affermando che "tutta la sua giovinezza è legata ad esse come ad una dolce catena". La seduzione di quelle pagine avrà dunque agito in qualche modo e coinvolto, almeno sul terreno dell'immaginario, il riluttante interlocutore; così come coinvolge il lettore di oggi, ormai peraltro lontano dagli stereotipi tardoromantici e dai compiacimenti dell'introspezione ottocentesca.
Mariolina Bertini
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