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Quando stamane ho avuto in mano questo libriccino sono rimasto piuttosto sconcertato: avete presente i volumetti di Sellerio (quelli della serie di Montalbano, per intenderci)? Beh, questo lavoro è di dimensioni ancora più ridotte [cm.16,4×10,9] e molto più sottile, solo 104 pagine scritte in caratteri abbastanza ampi; e infatti l'ho letto in meno di un'ora. Ma un tempo così breve si spiega anche con il fatto che questa succinta biografia di Olivetti, uno dei rappresentanti più significativi del sindacalismo rivoluzionario italiano, ha saputo appassionarmi. Il biografato fu tra i fondatori del PSI, diresse il periodico «La Lotta» con A. Costa, partecipò a uno sciopero a Molinella, fu esule a Lugano, dove fondò la rivista «Pagine Libere». Nel 1907 fu tra i protagonisti della prima delle molte scissioni socialiste, quindi con Labriola e Orano fu tra i favorevoli all'impresa libica (contrari Corridoni e De Ambris) e successivamente, come tutto lo stato maggiore del movimento sindacalista rivoluzionario (eccettuato Leone), prese parte alla campagna interventista che determinò la rottura con l'USI. Ma l'autrice fa appena accenno a questi eventi, concentrandosi sul pensiero di Olivetti e sull'evoluzione della sua elaborazione dottrinaria fino all'approdo al corporativismo fascista. Per la genesi delle sue teorie sindacali, basate su volontarismo filosofico e anti-democraticismo politico, il pensatore ravennate si avvalse del contributo dei miti della violenza e dello sciopero generale di Sorel, dell'èlitismo di Mosca e della filosofia della volontà di Nietzsche, cui successivamente aggiunse robuste dosi di nazionalismo e corporativismo, che lo porteranno alla formulazione di una filosofia dell'associazione basata sulla libera volontà e sulla riunione spontanea dei produttori. Testo interessante, ma troppo breve; conclusioni che non condivido (ripensamento del sindacalismo odierno su basi olivettiane); qualche piccola imprecisione (Cabrini si chiamava Angiolo non Angelo).
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