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recensione di Coletti, V., L'Indice 1998, n. 4
Attesa da tempo e da molti, esce finalmente (col primo volume dedicato al Due-Trecento) l'antologia della poesia italiana diretta da Cesare Segre e Carlo Ossola per Einaudi-Gallimard. Con direttori così autorevoli (che si sono a loro volta avvalsi dei migliori specialisti dei diversi autori antologizzati) e una collana (la "Pléiade") tanto prestigiosa, nessuno si sarebbe sorpreso né scandalizzato di una presa di posizione radicale che selezionasse fortemente, tra i testi oggetto d'antologia, quelli davvero canonici o addirittura proponesse un nuovo canone.
Diciamolo pure: glielo avremmo consentito. Nel momento in cui una semplificazione (e cioè un'interpretazione più restrittiva) del canone scolastico sembra imminente, non foss'altro per far posto a nuovi e più recenti componimenti e autori (il famoso problema del Novecento...), chi meglio, per restare a questo volume, di Cesare Segre, il maggior conoscitore della nostra letteratura medievale, avrebbe potuto avventurarsi in un'opera di disboscamento e magari di apertura di nuovi sentieri? Da chi avremmo accettato con più riverenza e fiducia una scelta tra i poeti del Due-Trecento che, poniamo, avesse dato a Cino da Pistoia, gran mediatore tra lo stilnovo e Petrarca e quindi precoce maestro della lingua poetica poi dominante, anche lo spazio che altre ragioni hanno voluto, che so, per Girardo Patecchio o per Bondie Dietaiuti?
Invece hanno prevalso, appunto, altre ragioni; e, come si vedrà, non c'è motivo di dolersene troppo, anche se queste sono meno innovative di quanto a simili maestri avremmo volentieri concesso. I curatori hanno infatti deciso di ammettere testi non solo quando importanti per il loro valore intrinseco o per il loro ruolo nel canone della nostra letteratura, ma anche quando esauriscono (o quasi) il loro significato (odierno) nella testimonianza di un momento, di un movimento, di una forma della poesia.
Se posso bisticciare un po' con le parole: hanno scelto ciò che ancora (sempre) conta (ad esempio, in questo volume: Petrarca); ciò che conta perché ha contato (mettiamo: i siciliani) e ciò che non conta ma serve a completare il quadro di un'epoca (diciamo la poesia allegorico-didattica del Trecento) o a capire ciò che poi ha contato (qui potrebbe essere il caso della poesia didattica del Duecento). Insomma, i responsabili dell'impresa hanno adottato un punto di vista sostanzialmente "istituzionale", nel senso, per altro, più positivo e pieno di questa parola.
Il primo volume offre infatti un panorama della poesia italiana dei due secoli iniziali di eccezionale ampiezza e completezza, senza tralasciare qualche novità, come quella del "minore" Ser Giacomo da Lèona, neoassunto nel repertorio della lirica medievale, o la grande ospitalità data alla poesia trecentesca, oltre Petrarca; in particolare, il Boccaccio lirico, i testi della "poesia per musica", poeti come Niccolò de' Rossi o Antonio da Ferrara o Cino Rinuccini, raggruppati in una vasta sezione. Ma i vantaggi di una ricognizione completa, spinta quindi persino in territori di per sé non strettamente canonici, già si intravedono anche per i volumi in preparazione grazie a quello che lascia intendere Carlo Ossola, percorrendo nella sua suggestiva introduzione itinerari extrapetrarcheschi e annunciando testi e linee di poesia scientifica, politica, religiosa, filosofica, ecc.
Ossola si spinge, con la sua prefazione, fino al terreno minato del Novecento, in cui pare di capire che l'antologia riproporrà la propria vocazione istituzionale escludendo i poeti nati dopo il 1930. Ma la lettura che Ossola propone del Novecento poetico dimostra fin da ora che i rischi di questo limite cronologico saranno molto ridotti, perché la grande svolta verso una "terza tradizione" novecentesca vi sarà, si intuisce, ampiamente (e bastantemente) documentata dal Luzi degli anni ottanta-novanta, dal grandissimo Caproni dei "libretti" o dall'ultimo, eccezionale Giudici; pazienza, dunque, se non ci saranno autori come Cesare Viviani o Eugenio De Signoribus.
Ma, sul Novecento, ci dovremo tornare alla pubblicazione del volume ad esso dedicato. Qui invece resta da dire qualcosa sui commenti ai testi. Preceduti da precise note introduttive e corredati da schede metriche e storiche, i componimenti antologizzati sono sottoposti a un fittissimo commento che dà ampio rilievo, tra l'altro, all'inter- e all'intratestualità, cioè ai rapporti del testo esaminato con quelli di altri autori o con altri dell'autore stesso.
Sarebbe interessante domandarci quanto questa prospettiva sia tributaria di una tradizione critica novecentesca (semiologica più che altro), che tende a esaltare l'autoreferenzialità della letteratura, la circolarità dell'universo poetico, in cui il recupero e il riuso di forme e motivi già sperimentati contano non meno dell'originalità dei singoli autori. Personalmente, ho qualche riserva sull'applicazione troppo meccanica di questa chiave a testi contemporanei, in cui la continuità si manifesta a livelli spesso esclusivamente linguistici (in questo senso Mengaldo ha usato il termine "tradizione" per il nostro secolo). Ma è certo che questa angolatura esegetica è la migliore per testi di un'epoca come il medioevo, in cui l'individualità dell'autore era un tratto assai meno rilevante della sua adesione ad autorità antiche o coeve, in cui i poeti corrispondevano in versi e per le rime (opportunamente la scuola siciliana e lo stilnovo sono rappresentati nell'antologia di Segre e Ossola anche dalle "tenzoni", dai sonetti di corrispondenza, segno di una circolazione della poesia e di un riciclaggio dei suoi temi e dei suoi materiali oggi impensabile).
Nella sua prefazione, poi, Ossola ha provveduto a mostrare come questa tendenza a tornare sui suoi prodotti, a citarsi e riutilizzare schede e schegge, suggestioni e intuizioni di predecessori e contemporanei resti a lungo, e in qualche modo fino al Novecento, una caratteristica della poesia, arte nutrita di altra arte come nessun'altra. Del resto, su questa inclinazione, per così dire innata, della poesia alla tradizione, va a innestarsi la particolare fisionomia della vicenda linguistica e letteraria italiana, distesa su tempi lunghi e scandita da vistose costanti, per cui la ricerca delle "fonti" di un testo, dei ritorni, dei riflessi di altri testi in esso è un'opzione critica di fatto obbligata.
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