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“L’ironia è una dichiarazione di dignità. È l’affermazione della superiorità dell’essere umano su quello che gli capita”. Niente più di questo aforisma di Romain Gary mi sembra adatto a descrivere l’approccio alla poesia, anzi, all’ Apoesia, di questo Autore. A privativo ma anche A di Andros, perché si ritrova in questo libro tutto il suo mondo artistico, l’atteggiamento disincantato di chi vuole sottrarsi a uno stato doloroso, identificato in primis con l’essere nato, e lo fa con l’ironia, con i giochi di parole, con gli artifici lessicali che fanno dei termini, o dei modi di dire, una cosa e subito dopo il loro contrario cambiando una vocale, spezzando o unendo la sillabazione, oppure, ancora, scrivendo al contrario il titolo. Plasma la parola come creta, la adatta ai suoi scopi e riesce benissimo a comunicare il suo punto di vista su tanti aspetti del mondo contemporaneo, contraddicendo in questo i suoi versi: “...l’incomprensione/ è l’unica forma di comunicazione”. La ferocia e nello stesso tempo la leggerezza, il doppio senso, il gioco ironico e a volte crudele tra il titolo e l’opera che lo contraddistinguono anche come artista, sono presenti massivamente in questa silloge. È spietato con le donne e gli uomini superficiali (Senno cadente, le donne contano), con gli eufemismi del potere (L’era degli ossimori), con il sesso senza amore, con chi crede ciecamente senza porsi domande. Solo nelle poche poesie d’amore (Happy, Un’invenzione, ma anche, per assurdo, Lasciarsi) lascia emergere “la dolcezza che esplode dentro”. Qui non si trova “il pessimista/e neanche nichilista”; qui si lascia attraversare dall’esistenza, senza opporre resistenza. Su una cosa ha indubbiamente ragione, l’ultima parola detta di noi sarà “Scava”, ma nel frattempo avremo avuto tutto il tempo di dirne tante altre, di parole, di lanciarle come fa Andros attraverso questo libro in faccia agli altri, di piangerne, di riderne o di tenere in serbo quelle non ancora dette, le più belle, forse.
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