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La questione del dissenso nei regimi comunisti suscitò un aspro dibattito nella sinistra italiana degli anni sessanta e settanta e resta ancora un nervo scoperto nei suoi epigoni. Nel libro viene posto in luce il ruolo cruciale che il dissenso sovietico, la Primavera di Praga e i fatti di Polonia del 1980-81 ebbero nel determinare un contrasto insanabile tra Pci e Psi. I comunisti italiani non seppero sviluppare le posizioni assunte di fronte all'invasione della Cecoslovacchia sino a porre fine al legame con l'Urss. La contraddittoria ricerca di un nesso tra democrazia e socialismo e del superamento del bipolarismo animarono il dibattito nel Pci, dove le posizioni più avanzate di Berlinguer e Ingrao furono condizionate dal filosovietismo di altri autorevoli leader. Lomellini nota come l'illusione di una riformabilità del comunismo e il divario tra le posizioni riservate del vertice e l'esigenza di difendere a livello pubblico il legame con il Pcus pesassero sull'effettiva capacità del Pci di fare i conti con l'eredità staliniana. Su questo nodo il partito condusse una "lotta su due fronti", con la sinistra comunista (incarnata dal gruppo del "Manifesto") e con le ambizioni egemoniche del Psi. I convegni del 1974, del 1977 e del 1978 non valsero ad avviare un dialogo autentico tra le varie componenti del movimento operaio italiano. La crisi della distensione, da Helsinki a Belgrado all'Afghanistan, trovò il Pci impreparato a prendere coscienza dell'imminente implosione del sistema sovietico. Tale limite ne segnò il destino. Ma anche il progetto di Craxi non seppe esprimere una dignità culturale in grado di favorire un autentico rinnovamento della sinistra. Di queste aporie il libro offre una lettura meditata.
Marco Galeazzi
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