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Anno edizione: 1999
Anno edizione: 2001
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Un libro pieno di riflessioni, a volte a amare, a volte semplici constatazioni inevitabili: incentrato sulla solitudine, riesce comunque a non deprimere ma solo a far riflettere. Mi è piaciuta molto la presenza di questi extracomunitari che sono visti come dei salvatori, per questi anziani che sennò sarebbero persi, abbandonati a loro stessi. E' anche un libro altamente femminista, in cui sicuramente tutti potrebbero imparare qualcosa, ma che forse punisce un pò troppo gli uomini, perchè alla fine se un rapporto fallisce non è sempre e solo colpa loro.
...di quei libri che porti nel cuore per sempre, che ti segnano, che quando annaspi lo prendi e lo sfogli ritrovando le risposte che cercavi. bellissimo, per comprenderlo appieno occorre essere donne, non giovanissime , e avere un po' sofferto.... do 5 perché di più non si può, e nella mia libreria giace nella sezione top :-)
Siamo alla fine del secolo scorso ma ce ne accorgiamo solo perché i prezzi sono indicati in lire. Tutto il resto non differisce granché da quello che oggi ci circonda. Stessa edilizia da periferia albanese che rovina i paesaggi e non solo le città, stessa impazienza, volgarità e violenza soprattutto fra i giovani. Forse ancor meno illusioni che tutto ciò possa in futuro cambiare. Protagonista, una donna di 63 anni, che guidando per poco non investe un corvo, uccello monogamo che ha perso la sua compagna, e che poco dopo riuscirà a morire. Doris improvvisamente si rende conto di aver mancato (o rifiutato?) l'incontro con l'amore assoluto, ma pian piano si accorge che è possibile vivere bene anche senza. Vivendo il sesso come gioco, ad esempio, e non come passione. Ma molti altri percorsi si sviluppano nel libro. Quello della signora Sebastiani, che guarisce dalla sua follia accettando le premure delle vicine e parlando finalmente della grande perdita che ha subito. Quello dell'amicizia fra donne che stende una rete di piccola efficace solidarietà quotidiana, dall'abbonamento alle colazioni per la "pazza", alla ricerca di gruppo sul costo sociale degli uomini, che provocano le stragi del sabato sera, uccidono gratuitamente gli animali e sporcano facendo i bisogni per strada. Quello decisivo dei giovani immigrati che sanno portare nelle famiglie irrigidite nuove energie creative, nuovo semplice affetto. Bello che il libro apra le porte alla speranza, di un lieto fine ogni tanto abbiamo bisogno, perché negarlo? Ma, dopo aver saggiamente archiviato il mito dell'amore fra uomo e donna, non ci ripropone altri miti, come quello dell'amicizia fra donne, della facile guarigione dalla malattia mentale, di un troppo semplice incontro multiculturale? Dovevano ancora venire i grandi traumi di questi anni - dall'11 settembre a Charlie Hebdo ai naufragi dei profughi - quasi a testimonianza di quello che avrebbe potuto essere, e non è stato, un felice incontro fra diversi.
Recensioni
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Doris è una donna matura e colta che ha scelto la solitudine. Il suo lavoro – scrivere una guida del Lazio per turisti non massificati – la porta in giro per strade di provincia. Così, un giorno, mentre è in visita a Bomarzo, crede di assistere al suicidio di un corvo: l’animale si uccide dopo aver visto morire la sua compagna. Doris è stranamente colpita dalla scena: ripensa alla sua vita, alla scelta di non aver più un marito o un compagno, ai suoi rapporti familiari e amicali. Le sembra che solo gli animali possano compiere ancora gesti simili e che le persone abbiano perso questa qualità così peculiarmente umana: sacrificarsi per gli altri. Ma sacrificarsi per un uomo, riflette Doris, è stata la trappola della sua generazione: il matrimonio per lei, come per tante sue coetanee, si è trasformato in una rinuncia al proprio spazio, al proprio territorio e alla libera creatività. Quando racconta l’episodio del corvo a un’amica questa le risponde: e perché mai il corvo suicida dev’essere un maschio? Di solito non sono le femmine a compiere gesti simili? Doris s’illumina: dunque, dopo tanti anni e tante esperienze, conserva ancora romantiche illusioni d’amore? Apri le porte all’alba è come una sintesi di tutti i temi da sempre cari all’autrice: le donne e la femminilità, l’amore in età matura, l’incomprensione verso l’altro sesso, la solidarietà, i rapporti fra culture. Sì, perché in questo romanzo che si presenta come un vasto spaccato, una sorta di tranche de vie, tutte le "parti" di Doris, personificate in amiche di antico impegno femminista e animalista, amiche fresche di divorzio e felicemente sole, vicine di casa impazzite per il dolore di una perdita, vecchi amanti un po’ ridicoli, un padre anziano e contadino, giovani capoverdiane e bellissimi giovanotti egiziani, tutte queste parti, dicevo, s’incontrano e, finalmente, si parlano. Di più: al termine del racconto condividono una cena dove sentimenti e culture si intrecciano e si fondono alla ricerca di un nuovo, inedito equilibrio. Al centro della narrazione quindi c’è lo scandalo sociale più importante e rimosso dei nostri tempi, suggerisce l’autrice: la perdita dell’affettività, l’indifferenza, l’abbandono, l’incapacità di declinare verbi d’amore per l’altro. La risposta, scopre Doris, e con lei le sue amiche, è nell’ascolto e nella solidarietà. Dall’incontro con giovani immigrati i protagonisti del romanzo ricavano la forza per sanare il vuoto affettivo che si sono creati intorno: è il caso del vecchio padre di Doris, che con Margarida, esuberante capoverdiana che sa curare l’orto e comprende la passione dell’anziano contadino per la sua terra, ritrova la perduta serenità. "Sono ancora i neri, come al tempo della schiavitù, a presiedere alla nascita e alla morte dell’uomo bianco", osserva una delle amiche di Doris. È ancora il caso della signora Sebastiani che, perso il figlio, sceglie di ospitare il giovane barista Mohammed. L’autrice, rilevando l’autenticità sociale di un fenomeno – è certamente vero che gli immigrati sono in larga parte impiegati per accudire anziani o bambini nei paesi occidentali –, riesce a costruire un testo felicemente teso sul filo che divide la narrazione dal saggio antropologico. L’indifferenza denunciata nel romanzo tocca poi il tema della follia, troppo spesso considerata un problema altrui, mai personalmente affrontato: Doris sceglie, ad esempio, di invitare la vicina di casa ritenuta pazza alla riunione di condominio dove gli inquilini stanno votando un suo repentino sfratto (e la presunta folle vi arriva in tailleur e messa in piega facendo fuggire tutti...). Un romanzo di trasformazione, quindi, che registra un cambiamento, un’accettazione coscienziosa di un mondo che sta mutando età e colore. E di questa trasformazione sono protagoniste assolute le donne: forti, organizzate, solidali fra loro, capaci di non soffrire più pene d’amore e di desiderare, invece, gli uomini – che appaiono defilati, un po’ patetici, sfocati – solo, talvolta, di notte. Della Belotti colpisce positivamente la capacità di rendere loquace l’esperienza quotidiana e praticabili anche classici "pantani narrativi" come i lunghi monologhi interiori, le alte affermazioni di principio e le riflessioni di carattere sociale cui spesso si dedicano i suoi personaggi: l’ironia o la commozione salvano sempre il tessuto del racconto. L’unico difetto rimane, a cercarlo, nella lingua adottata dall’autrice, che nel tentare di rendere, appunto, semplici ma profondi argomenti solitamente inscatolati sommariamente dai media, diventa troppo normale e prevedibile, quasi un po’ scolastica.
recensioni di Cilento, A. L'Indice del 1999, n. 04
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