"Mistero e fascinazione del cinema americano", dichiarava Godard nel 1966: "Come posso odiare John Wayne che appoggia Goldwater e amarlo teneramente quando all'improvviso prende fra le braccia Natalie Wood nella penultima bobina di Sentieri selvaggi?". Analogo è l'interrogativo che risuona nella Prefazione storica di questo libro, nostalgicamente rivolta a commemorare e ripensare l'impegno politico degli anni sessanta: "Com'è possibile" che una "delirante, ossessiva passione per la conoscenza del sociale e per il suo mutamento" si accompagnasse a una "passione altrettanto trascinante e altrettanto esclusiva" per le "'belle lettere'?". A differenza di Godard, Asor Rosa tenta di rispondere alla domanda, disegnando una vera autobiografia politica e intellettuale, "testimonianza strettamente personale di un percorso" attraverso alcune "letture" formative. In campo teorico e organizzativo le posizioni operaistiche nell'Italia di quegli anni, segnati da un "fortissimo rinnovamento" e al tempo stesso attraversati da "dinamici conflitti", si ispiravano innanzitutto ai testi classici marxiani. È tuttavia l'incontro con Leopardi e con Nietzsche a dare un tono effettivamente appassionato (in nome dell'"energia vitale") a quest'esperienza: Leopardi come emblema di "libertà", modello di un ideale giovanile che si richiama alla "solitudine impervia e assoluta" e all'utopico rifiuto del "compromesso"; Nietzsche come moderno illuminista capace di demolire criticamente la cultura borghese, in nome di una nuova "padronanza di se stessi" che prefigura la fine dell'accumulazione capitalistica. Certo, la "grandiosa, per quanto indeterminata attesa" di una generazione che "si dava da fare per conoscere il più possibile" o meglio "tutto" ("era così che allora si usava)", avrebbe incontrato "una ancor più grandiosa disillusione". E lo slancio conoscitivo del decennio, l'impegno a scoprire non solo "l'errore logico", ma anche "la mistificazione sociale", "il fascino di una nozione di critica, che, insieme con l'idea, aggrediva e demoliva la cosa", sarebbero andati incontro a una lunga "decadenza" che dura ancora. È proprio sul concetto fondamentale di "critica" come "conflitto" che Asor Rosa scrive le sue pagine più persuasive, opportunamente illustrate dai saggi qui raccolti, come l'esemplare recensione dedicata a Verifica dei poteri di Franco Fortini. Ed è l'"assenza pressoché totale di 'critica' che caratterizza la fase attuale" a ispirare all'autore alcune raccomandazioni conclusive, destinate a conservare la speranza o almeno la "resistenza", in attesa di una nuova "filosofia della libertà". L'odierna tendenza all'attenuazione o "cancellazione del conflitto" ha infatti conseguenze perverse, visibili non solo in ambito sociale, dallo "sproporzionato sviluppo del capitale finanziario" alla liquidazione degli antagonismi di classe, ma anche nella sfera politica: "La politica deperisce, e persino le attività intellettuali smarriscono la strada della ricerca", poiché "per forare efficacemente il velo della finzione bisogna sempre persuadersi di avere di fronte un nemico, non un amico traviato da recuperare con la benevolenza". Ed è una raccomandazione utile oggi più di ieri, come antidoto a quella "benevolenza" che spesso nasconde una libertà solo vigilata. Rinaldo Rinaldi
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