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Lino Angiuli, nell'introdurre questo "urticante" volume di Gabriella Montanari, parla di "intenzione non sublimatoria ma 'bassa', ovvero provocatoria e sovversiva, dell'intera raccolta". Una poesia che percorre un itinerario decisamente trascurato dalla vena intimistica ed ermetizzante della nostra produzione letteraria più in voga, e invece assume sprezzantemente i toni sarcastici e "maledetti" sulle orme di Bukowski. Gabriella Montanari si fa ironicamente beffe di qualsiasi tronfia ispirazione poetica "alta"; ma non c'è solo la tradizione letteraria nostrana nel suo target: il feroce e liquidatore arsenico a cui allude il titolo del libro è riservato a qualsiasi aspetto della vita: dal "fottutissimo padre padrone" che l'ha messa al mondo, ai parenti morti, alla stupida dirimpettaia diventata madre controvoglia, al pontefice ("per terra c'è un profilattico esausto/ e io mi interrogo sull'utilità del papa") e alla religione tout court, in una sua personale teologia più blasfema che eretica. Nemmeno la natura, nella sua innocente bellezza, si salva dal furioso cupio dissolvi della poetessa, e persino gli innocui e silenziosi libri si meritano velenosi insulti. L'amore stesso è finzione, presa in giro, e tutt'al più scambio di liquidi o tempesta ormonale, e il sesso "ha il soffio corto dei coiti clandestini/ e delle sveltine da divano immondo". Il lettore può ritrovarsi sconcertato da questo allegro e rabbioso vorticare di vesciche, genitali, sigarette, birre, obitori, scopate, maledizioni, sperma: mai scandalizzato, tanto provocatoriamente eccessiva è l'immagine che la poetessa tende a dare di sé, ossessivamente insultante anche contro la sua stessa scrittura: "Pisciare, scrivere. Lo stesso sfogo appagante, la soddisfazione di un bisogno impellente". Al punto che chi legge questi versi finisce per dimenticarsi di valutarli esteticamente, travolto com'è dalla sardana di tanta esplicita fisicità.
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