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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2021
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Casa editrice che ha letteralmente reso popolari i repertori iconografici di artisti visivi e arti applicate, la tedesca Taschen edita dal 1980 volumi preziosi in termini di qualità e quantità dei materiali visuali proposti, secondo una logica, invero alquanto variegata, di source book, ovvero libro di fonti, che ancor oggi rappresenta strumento basilare di aggiornamento per chi si occupa di comunicazione visiva, moda, design (o per semplici appassionati e curiosi) perché capace di raccogliere materiali adeguati e selezionati, secondo chiavi di lettura ben più precise di quelli che ci offre il web (e con definizione delle immagini ben più alta…). Non ultimo, il fatto che Taschen pubblichi a prezzi abbordabili i suoi volumi, tenendo conto delle qualità di stampa e di curatela editoriale dei volumi, grazie anche a una formula intelligente di pubblicazioni a gruppi di lingue per libro.
Sono premesse che vanno fatte, raccontando una delle ultime fatiche della casa editrice, Art Record Covers, a firma di un autore italiano, Francesco Spampinato, il quale ha saputo sfruttate al meglio l’opportunità offerta. Sospinto da una propensione multidisciplinare che, nel suo curriculum italoamericano vanta un’attività di artista visivo, ma anche di curatore, di saggista in temi di comunicazione visiva e arti visive, di educatore, negli, Usa, presso una scuola prestigiosa come il RISDI. E infine, di collezionista. Proprio negli States Spampinato aveva scritto un altro seminale volume, di carattere saggistico, sul tema della progettazione condivisa nelle arti visive e del design, Come Together, per i tipi di Princeton Architectural Press.
La curiosità del curatore, la competenza del saggista, la voracità del collezionista si incrociano quindi in questa esuberante carrellata di immagini (più di cinquecento), debitamente commentata in apertura, schedata progetto per progetto, e accompagnata da una serie di interviste ad alcuni autori particolarmente legati al mondo della musica, come Shepard Fairey, Kim Gordon, Christian Marclay, Raymond Pettibonche. Immagini che, oltre a rappresentare un repertorio molto ricco di soluzioni peculiari, raccontano anche dei mutamenti di assetto della figura dell’artista nell’orizzonte culturale dal dopoguerra ad oggi. Da un lato, infatti, agli artisti è concesso, anzi è proprio richiesto, di andare al di là di una logica di un approccio stilistico o corporate legato alla dimensione distributiva e commerciale del disco, o del cd, perché a essere chiamata in causa è l’autorialità dell’artista stesso. Dall’altro, le diverse problematiche dell’arte contemporanea, e non solo le loro dinamiche poetiche e stilistiche, offrono un curioso spaccato delle relazioni fra arte, mercato, società.
E da questo punto di vista la varietà degli esempi non manca certo. Per incominciare, ci sono scelte che vengono fatte dai musicisti (o dai produttori) nei confronti delle immagini di artisti celebri, con conseguente liberatoria sui diritti: ad esempio, René Magritte, di cui viene pubblicato La Chambre d'Écoute (1952), usato da Jeff Beck per Beck-Ola (1969). Ci sono poi inviti specifici ad autori dotati di poetiche compatibili a quelli dei musicisti, come quello a Richard Hamilton da parte dei Beatles per l’art direction di The Beatles (ovvero il leggendario White Album, 1968). Infine, i casi nei quali l’artista è a sua volta produttore o musicista, quindi coinvolto a tutto tondo nel prodotto e package finale, come ad esempio Jean-Michel Basquiat nella sua Tartowm Records (una sola release, invero).
E’ sul secondo caso prioritariamente (specie nello specchio che copre gli ultimi 30 anni) che si accorpano gli esempi più numerosi: ed anche sul terzo, ad indicare comunque, nel mare magnum delle possibilità, una scelta che privilegia decisamente la costruzione di un progetto comune fra musicista ed artista.
Ovviamente, le variabili sono di nuovo molteplici, in questi casi. Un Keith Haring o uno Shepard Fairey (aka Obey the Giant) hanno avuto un tale impatto sull’immaginario collettivo da passare da David Bowie ai RUN DMC (il primo) e da Tom Petty agli Anthrax (il secondo), con formule iconografiche magari diverse e contestuali. Mentre la cover del pop-surrealista (underground Mark Ryden) per Dangerous di Michael Jackson (a fianco di quelle per Warrant o Screaming Trees) testimonia di come il mainstream più assoluto sappia cogliere, in tempi anche assai rapidi, i segnali provenienti dai sottoscala del pianeta.
Sull’altro versante, la leggendaria banana di Andy Warhol per i Velvet Underground, cresciuti nella Factory dell’artista, racconta una dinamica analoga certo, ma non omologabile con quella delle copertine del graffitista Rammellzee, a sua volta rapper, per compilation dedicate a una scena da lui stesso praticata, quella del turntablism newyorkese.
Insomma, al di là della ricchezza del repertorio; al di là delle sinergie fra musica e immagine in termini progettuali o addirittura sinestetici; il volume ci offre uno spaccato della ricchezza degli incroci che intercorrono fra hi and low culture, e ancor di più dei tracciati che all’interno della cultura pop intersecano mainstream e underground. Libero ogni lettore di ripercorrerli, guidati dalla efficacia di un regesto così decisamente ricco e strutturato.
Carlo Branzaglia
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