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Libro interessante ma che si fonda su una serie di assunti seriamente da discutere. L'art. cont. con cui l'A. confronta la visione ecclesiastica, è l'arte espressa dal sistema economico manageriale che ne seleziona la visibilità. Ovvero, non Arte Contemporanea "tout-court". La preoccupazione dell'A. pare quella di stigmatizzare le "trasgressioni" o i presupposti attacchi blasfemi dell'Art.Cont. che per la verità sono un aspetto irrisorio rispetto ai suoi interessi e alla sua produzione. Si può fondare un dialogo su questo presupposto? E poi, come si può, parlando di contemporaneo (in costante evoluzione e definizione) giudicarlo per categorie fisse? Non c'è una analisi di un'opera (ad es. Viola, Abramovich, Holzer, Ikeda, Serra, Kapoor,Gormley,Ai Weiwei, per dirne qualcuno a caso ma solo pareri di due italiani. Non cè poi menzione del problema della "definizione dell'arte" aperto dagli studi analitici, nemmeno degli studi sulla Complessità dei processi culturali, nulla dell'"antropologia interpretativa", della sociologia della comunicazione ... insomma una lettura un po' troppo leggera delle questioni teologiche, filosofiche esistenziali intrise nel "Contemporaneo" (Bauman è straordinario critico della struttura sociale post-capitalista, ma il mondo è anche altro). Questi argomenti porterebbero a valutare diversamente la "densità" e la ricerca di senso che sta dietro una gran parte dell'esperienza dell'Art. Cont. La bilancia pende verso la magnificazione dell'atteggiamento ecclesiastico di cui, per altro, veniamo a conoscere anche cose molto interessanti. Paolo VI° nel 1964 era stato più aperto. Insomma un libro interessante anche se non proprio dialogante, forse un po' sbrigativo sui problemi dell'A.C. E' come se la Chiesa prima di incontrare l'art. cont. dovesse mettere i paletti su cosa deve essere il risultato del dialogo. Ma il condividere il problema esistenziale dell'Uomo oggi, insieme a lui fino in fondo, condividere con lui nella ricerca di senso, spaventa?
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