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Anno edizione: 2015
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Il piacere baudelairiano di perdersi tra la folla della metropoli; la gioia profonda e silenziosa di osservare, inosservati, il proprio amato mentre dorme o i propri bambini mentre giocano tranquilli; il sollievo di poter placare finalmente l'ansia di mostrarsi. Lontano dalle vetrine sfolgoranti, dal calcolo prudente, dalla paura o dal desiderio di essere notati, l'anima discreta offre al mondo una presenza giusta, misurata.
In una società che vive di apparenza e spettacolarità, la discrezione è una necessaria forma di resistenza. Spegnere i riflettori, abbassare il volume, godere dell'anonimato sono gesti politici prima che morali. La discrezione è un'arte, un atto volontario, una consapevole scelta di vita in un mondo che ci vorrebbe sempre connessi, protagonisti, inesorabilmente presenti, e in cui s'impone l'urgenza di una tregua, di staccare e sparire. Come quando, in un paese straniero, assaporiamo la massima libertà di non essere riconosciuti, la discrezione è arte della scomparsa: non nascondere nulla fino a non avere più nulla da mostrare, fi no a rendere la propria presenza impercettibile. È arte della sottrazione, non per negare ma per affermare se stessi, e al contempo far scomparire quello che ci definisce. È aprirsi al mondo senza toccarlo, è gioia di «lasciar essere» le cose. È ancora possibile oggi, tra selfi e e YouTube, essere discreti? Secondo Pierre Zaoui la risposta è sì: anzi, la discrezione è la nuova faccia della modernità, frutto delle libertà offerte dalle nostre società democratiche.
Nel suo saggio, Zaoui convoca i grandi pensatori della discrezione, da Kafka a Blanchot a Deleuze, passando per Virginia Woolf e Walter Benjamin, per delineare i tratti di questa esperienza «rara, ambigua e infinitamente preziosa». Le anime discrete, afferma Zaoui, sono quelle che fanno il mondo: senza di esse, più nulla può reggere. Dobbiamo augurarci che non venga mai il giorno in cui anime simili scompariranno, schiacciate definitivamente dall'onnivisibilità, che non venga mai il giorno in cui rimarranno soltanto riflettori e casse di risonanza, perché allora tutto crollerà. È anche questo, afferma Zaoui, il senso del fare filosofia: cercare lo spirito del tempo, e dunque tutto ciò che tende a scomparire, a essere, appunto, discreto.
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Una brevissima riflessione su come approcciare l’esistenza tra essere e apparire, tra individuo e società. Un saggio veramente che se tutti leggessero ad oggi, potrebbe causare uno shock.
“Felicità per sottrazione” è l’obiettivo che secondo il filosofo francese Pierre Zaoui dovremmo cercare di conquistare e mantenere, individualmente e come collettività, attraverso un atteggiamento personale discreto nei confronti del mondo. Discrezione come scelta di vita, che in genere si accompagna a una disposizione caratteriale antitetica all’eccesso di esuberanza, di autopromozione, di visibilità, di autoreferenzialità: inclinazioni particolari che nel mondo contemporaneo vengono incoraggiate dai media e dai social come valori e meriti da esibire con orgoglio e sfrontatezza. La discrezione viene definita dall’autore dote “rara, ambigua e infinitamente preziosa”, che trova nella moderazione e nel riserbo la propria misura espressiva, sottratta a riflettori e casse di risonanza, renitente di fronte a ogni forma di spettacolarità. Aderendovi, “usciamo da quel gioco di proiezioni e introiezioni continue che ci legano di solito agli altri”, rinunciamo a qualsiasi volontà di potenza e all’illusione di essere indispensabili, alla “dialettica mediocre del riconoscimento o della seduzione”. Sottraendosi all’obbligo dell’apparire e accettando una sorta di clandestinità, la discrezione assume i tratti della dissidenza, di una resistenza politica al dovere di divulgazione e protagonismo, secondo cui “essere è unicamente essere percepiti”. Si oppone, infatti, alla sorveglianza del panottico totalitario, praticata dalle nostre occhiute e orecchiute società contemporanee attraverso videocamere, intercettazioni, spionaggi informatici, droni e satelliti. La delicatezza del porsi nel mondo dovrebbe insegnare a non stare troppo vicino alle persone e alle cose per non venirne divorati, né ad allontanarsene troppo rischiando l’isolamento. Pierre Zaoui indaga sulle origini di questo orientamento comportamentale a partire da quanto ne pensavano gli antichi.
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