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Ha dimenticato di precisare che il discorso della meritocrazia gli sta talmente a cuore che uno degli atti più memorabili della sua gestione è stato il "posizionamento" di suo figlio... digitate alonge, cinema...
Lettura che delude le aspettative di chi spera di trovare nel pamphlet una disamina importante e cogente dell'indubbio fenomeno del degrado della scuola e dell'Università italiane. Sebbene del tutto condivisibili le critiche al lassismo di certa sinistra, responsabile certamente d'avere tradito il verbo gramsciano sulla scuola sì di massa, ma non per questo facilitante, il saggio delude ogni volta che l'autore (e non raramente) si lascia andare a luoghi comuni sulla sinistra, dando spazio anche ad aneddoti sconfinanti nel pettegolezzo privato e comaresco, pregni di risentimento verso Tizio e Caio, quel giorno in cui accadde che, in via Tal dei Tali, il tale collega (normalmente di sinistra) fece, vide, disse... Deludenti, nella loro banale semplificazione, considerazioni ad esempio come le seguenti: "La scuola si è inceppata perché si è inceppata la famiglia, dissolta da un Sessantotto che ha inventato i "matrimoni d'amore", i quali - si è visto dopo - durano poco e finiscono con dei divorzi. I "vecchi matrimoni d'interesse" erano solidissimi e costituivano, alla fin fine, una cornice passabile entro cui i figli crescevano. In ogni caso le creature comprendevano [...] che la vita è dura e che bisogna stringere i denti" (pag. 72). A pag. 75, poi, in riferimento alla scuola e a certe antologie che scodellano piatti pronti d'analisi del testo ecc., si legge che "nessuno ha il coraggio di dire e di ribadire che ciò che conta è lavorare il testo, cioè la lettura del testo...". Sono solo due citazioni, che lasciano delusi per motivi diversi: la prima sorprende per la semplicistica riflessione, che fa torto ad una realtà più complessa e articolata; la seconda non risponde a verità. Si potrebbe continuare... Da uno studioso come Alonge ci si aspetta di più, molto di più.
Se il qualunquismo si propone di risollevare le sorti dell’università, stiamo peggio di quanto credessimo. Il pentimento prêt-à-porter può forse sbianchettare l’anima dell’individuo ma manda spesso in rovina il sistema in cui abita. Che l’università necessiti urgentemente di interventi strutturali per ridefinire il proprio ruolo nel nostro sistema della cultura e della formazione, mi sembra vero. Che questa urgenza diventi occasione per un piazzate populistiche, mi sembra osceno. Ci sono ben altre questioni da affrontare: una ampia riflessione sul sapere (un esempio tra tutti è Lyotard); l’istituzione di un triangolo virtuoso tra ricerca, formazione e produzione - laddove sia possibile; il ridimensionamento della chimera dei corsi “professionalizzanti”; ecc. Il saggio mostra un populismo destrorso. Abbiamo visto Silvio Berlusconi sostenere che in politici con la barca sono ladri, abbiamo ascoltato Cirino Pomicino dare lezioni di moralità alla sinistra, leggiamo un cosiddetto professore ordinario fortemente responsabile della dirigenza della sua Facoltà dire che ci vorrebbe più meritocrazia e più qualità per salvare l’università dal degrado. In questa fiera del luogo comune ci manca solo constatare che “…ai miei tempi era un’altra cosa…”, “…i giovani d’oggi sono debosciati…”, “… che l’unica scuola seria era il liceo classico…”, aggiungiamoci anche che “…non esistono più le mezze stagioni…” e il numero è completo. E questa sarebbe la riflessione di un’avanguardia intellettuale? Stiamo freschi!
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