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Il testo ci insegna, oltre alla filosofia pedagogica che lo caratterizza, a guardare con introspezione alla nostra vita, per trovare a nostra volta quell'atteso imprevisto capace di cambiarla, di farla nuova...e nell'errore, per chi sa osservare attraverso le fessure, si può così scorgere la via e la verità, senza fallimento, senza arrendersi.
Oltre ad aver letto il libro ho seguito le lezioni di pedagogia di Perticari all'università e devo dire che i messaggi che trasmette a mio parere sono eccezionali. Ancora più oggi che sono madre confermo l'importanza in ambito educativo dell'imprevisto, della semplicità e della relazione. Da far leggere a tutte le insegnanti!
Recensioni
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recensione di Armellini, G., L'Indice 1996, n. 6
Fino a qualche tempo fa presso il ceto buro-pedagogico che governa la vita della scuola imperava un cognitivismo hard di matrice comportamentista, che disegnava il processo di apprendimento come percorso lineare, scandito in tappe predeterminate attraverso le quali far passare ogni studente, verificando passo passo l'acquisizione di ogni singola "abilità". Negli ultimi anni si è diffusa la consapevolezza della "complessità" (una parola oggi tanto usata da rischiare la totale desemantizzazione) dei processi di insegnamento/apprendimento. Dal primato della sfera cognitiva si è passati all'attenzione per la sfera etica, psicologica, relazionale; dai percorsi standardizzati all'individualizzazione; dalla linearità alla modularità, all'elaborazione di mappe cognitive, "strutture ipertestuali" e via dicendo.
Ma il riconoscimento della straordinaria complessità dell'insegnare e dell'imparare non ha prodotto - come si poteva sperare - un atteggiamento di umiltà, di consapevolezza del limite, di apertura all'imprevisto; si è invece accresciuta fino alla paranoia la mania del controllo .Ne sono un esempio tipico gli ultimi strumenti di valutazione, volti a isolare e a misurare, uno per uno, "tutti" i fattori che interverrebbero nel processo di apprendimento di bambini e bambine: abilità cognitive, atteggiamenti etici, caratteristiche intrapsichiche come l'autostima o la conoscenza di sé. Sullo sfondo resta un'idea dell'insegnamento come trasmissione unilaterale di saperi e valori, basata sulla presunzione che i modi di funzionamento delle menti dei "discenti" siano conoscibili, controllabili, plasmabili e misurabili dall'esterno.
Il libro di Paolo Perticari può essere letto prima di tutto come un buon antidoto contro l'intrusività della pedagogia ufficiale, minacciosamente puntata contro la privacy, e l'infinita varietà degli stili cognitivi dei ragazzi e delle ragazze.Dal punto di vista concettuale il discorso poggia sui capisaldi delle epistemologie costruttivistiche nelle loro componenti cibernetiche, biologiche, antropologiche (da Bateson a von Förster, da Varela a Maturana a Gordon Pask), attorno ai quali l'autore intesse una divagante e idiosincratica trama di suggestioni, citazioni e spunti tratti da poeti, narratori, filosofi, teologi, educatori, pensatori canonici e irregolari.
Da questa gremita costellazione di riferimenti scaturisce una visione dell'insegnamento/apprendimento che si avvicina all'esperienza concreta di un insegnante assai più delle algebriche costruzioni della pedagogia dominante: un incontro imprevedibile, avventuroso, spiazzante, tra persone di generazioni diverse, nel corso del quale ciascuna può apprendere verità sorprendenti dall'altra, a patto che l'attenzione non sia centrata su un futuro predeterminato ma sulla qualità dell'esperienza presente, e che la scuola non sia vista come un ingranaggio per far meglio funzionare il sistema economico e ideologico circostante ma come una zona franca che ha al suo centro la libertà e lo stupore della relazione.
Questa consonanza fra teoria ed esperienza ha un solido fondamento nella parte più narrativa dell'esposizione, affidata a Marisa Brighi e Gabriella Giornelli, insegnanti di italiano e di matematica in una scuola media, che si possono considerare a pieno titolo coautrici del libro per la rievocazione di incontri, conversazioni, esperimenti didattici, vissuti nella concreta realtà di una classe, che fanno da controcanto all'argomentare diPerticari.
Fra la parte teorica del libro e le esperienze narrate da Brighi e Giornelli non c'è una relazione gerarchica ma un dialogo alla pari: il mestiere dell'insegnante, come si delinea nelle pagine del libro, non consiste nel trasmettere unilateralmente un sapere dato ma nel favorire la costruzione cooperativa di un sapere nuovo, che nasce dai modelli di mondo delle persone adulte e bambine che si incontrano quel giorno in quella classe: la progettazione si coniuga con l'improvvisazione, l'insegnare si intreccia con l'imparare, le strategie didattiche si modellano di momento in momento sugli sviluppi della conversazione, in un processo le cui modalità e i cui esiti non sono conoscibili all'inizio del percorso ma solo alla sua conclusione.
Anche per questo Perticari ribadisce più volte che la sua intenzione non è di elaborare una nuova pedagogia, nuovi modelli o ricette didattiche, ma di proporre un diverso sguardo su ciò che avviene quotidianamente nelle scuole: qualcosa che, grazie a Dio, non si può imporre per legge, tradurre in circolari ministeriali, formalizzare in griglie o tassonomie.Così l'organizzazione del discorso non segue un ordine sequenziale, ma procede per anticipazioni, riprese e ridondanze, ritornando rapsodicamente attorno ad alcune idee-guida (la pluralità delle intelligenze; il coinvolgimento dell'osservatore nel sistema osservato; la valorizzazione delle "domande legittime", dell'imprevisto, dell'errore, del conflitto; l'attenzione agli elementi locali, contestuali, occasionali dell'esperienza scolastica), riproposte di volta in volta da diversi angoli di visuale.
All'ideologia produttivistica ed efficientistica dominante - che, per un paradosso molto italiano, si risolve concretamente in una crescente burocratizzazione della vita scolastica - Perticari contrappone l'invito a un "esodo dal clima pedagogico che si respira a scuola" verso "una scuola nella scuola", dove l'"artigianato educativo" degli insegnanti possa sprigionare pienamente le sue potenzialità.Mi piace leggere questa indicazione come un riconoscimento che, di fronte alle catastrofi della politica pedagogico-sindacal-burocratica, l'unica speranza per la scuola risiede nell'iniziativa, necessariamente conflittuale, di chi continua, nonostante tutto, a insegnare con serietà, con passione, e persino con gioia.
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