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“Un senso di pacato, indifferente fluire del tempo”, come la pista di un aeroporto osservata da una vetrata mentre si sorseggia un caffé. Questa è una delle tante immagini che Tomas, il protagonista del romanzo , ci suggerisce a proposito della Patagonia. Il suo è lo sguardo disincantato ma attento di un giovane e colto europeo che si è trasferito in questa remota parte di mondo per lavoro, ma forse anche per quel desiderio più o meno conscio che è dentro ad ognuno di noi, di cercare una sorta di esilio, o di frontiera. Quello che Nifantani ci offre della Patagonia è un vero e proprio affresco di uomini e paesaggi, di luoghi e di “non-luoghi”. Nell'anonimato di improbabili città scaturite dal nulla con le loro strade dritte sferzate dai venti emergono come isole personaggi reali e a volte straordinari che reclamano una loro identità in un luogo dove ancora oggi il contesto antropico fatica a trovarne una, in un territorio ancora tenacemente schiacciato da una natura selvaggia, a volte aliena, difficile da conciliare con il radicamento umano. Qui l'esperienza ed il bagaglio culturale di un europeo possono vacillare e inevitabilmente riemergono le paure ataviche dell'uomo e un senso di smarrimento di cui forse si era persa la memoria, tuttavia con il fascino di una possibile ricerca di nuove connessioni esistenziali. La Patagonia , per Tomas , è come il suo sogno ricorrente della balena, il suo desiderio di raggiungerla a nuoto , magari di toccarla o forse anche di esserne divorato.
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