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Il serrato dibattito, a vari livelli, fra sostenitori e avversari del "diritto a morire", da un lato, e le decisioni olandese e (di recente) belga nei confronti dell'eutanasia, dall'altro, danno visibilità a un profondo mutamento culturale in corso. Alla radice del problema sta un duplice concorso di eventi. In primo luogo, allo spettacolare progresso della medicina avvenuto negli ultimi decenni, ha fatto fronte un (collaterale) aumento delle condizioni di cronicizzazione, accompagnato da un drammatico incremento dei casi di incoscienza protratta nel tempo e, soprattutto, irreversibile (si pensi ai cosiddetti "vegetali umani"). In secondo luogo, insieme al mutamento intervenuto nelle situazioni del morire (e, almeno in parte, a causa di esso), si è andata rapidamente accentuando la sensibilità al problema dell'autonomia del malato, intesa come condizione imprescindibile di dignità della persona. Sensibilità che ha spinto nella direzione di un (pur sempre problematico ma) radicale ripensamento del rapporto medico-paziente, sempre meno unidirezionale, sempre più dialogico e democratizzato. Da cui la grande attualità guadagnata dal tema dell'autodeterminazione del malato. Un'autodeterminarsi nonostante, tuttavia, data la difficoltà che l'idea ha incontrato e continua a incontrare sul suo cammino.
Il convegno di cui si pubblicano gli atti è stato promosso, nel novembre 1999, dalla Consulta di bioetica e ha visto la partecipazione e il confronto multidisciplinari di numerosi studiosi di diversa provenienza culturale (filosofi, giuristi, sanitari) nonché nazionale. Il titolo del libro, che può suonare provocatorio, bene esprime le difficoltà cui l'idea di autodeterminazione del malato va incontro per quanto concerne il suo pieno riconoscimento. I problemi da superare, in effetti, sono molti e i vari interventi di cui il testo si compone formano, insieme, un limpido panorama al riguardo. Si va così - per citare solo alcuni temi - dal concetto stesso di autonomia visto nel suo duplice rilievo filosofico e giuridico, al diritto all'informazione chiara e accessibile da parte del personale sanitario come condizione imprescindibile di un consenso (o di un dissenso) veramente informato; dal ruolo effettivo delle cure palliative nell'affrontare i problemi (non solo medici) del malato terminale, all'accettabilità dell'eutanasia come scelta.
Ma il tema che più frequentemente ricorre è quello relativo alle direttive anticipate e alla Carta di autodeterminazione. Documento volto a facilitare, in condizioni di sopraggiunta incapacità, decisioni sanitarie coerenti con la volontà biografica della persona, esso tuttavia stenta ancora a veder riconosciuta la propria validità giuridica. Si possono isolare almeno due direttrici lungo le quali si discute del problema: per un verso, l'attenzione è fatta cadere, a monte, sulla legittimità o meno della Carta e sul concetto di autonomia ad essa sotteso; per un altro verso, si è tentato di avanzare risposte ad alcuni problemi che essa sembra porre (lontananza nel tempo fra compilazione ed eventuale applicazione; inevitabile genericità della formulazione con conseguente inadeguatezza a ridurre l'incertezza in situazioni specifiche, ecc.). Particolare interesse, relativamente a quest'ultimo punto, riveste la proposta di affiancare alla Carta generale carte speciali (ad esempio per malati di tumore e di sclerosi laterale amiotrofica), le quali presenterebbero il duplice vantaggio di essere particolarmente aderenti a un caso specifico e a una prognosi prevedibile, e capaci di realizzare, dato il loro essere rivolte a persone che già si trovano in una precisa situazione clinica, una forma più piena di autonomia decisionale.
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