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Anno edizione: 2017
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Ave Virgilio” è un Carme che di bucolico ha solo il riferimento classico del titolo, e uno sfondo rabbioso di pascoli montani, stalle e contadini, malinconiche feste di paese, culti e riti più superstiziosi che devoti: tutto l’armamentario culturale che caratterizza la produzione letteraria di Thomas Bernard, «profeta dei deformi», cantore rancoroso e blasfemo di un mondo terribilmente inclemente. Il grumo di dolore che attraversa queste pagine esplode nello spasimo livido di astio per la condanna di un’origine orgogliosamente esibita e altrettanto spietatamente rigettata: «La mia parola scelse / pecore, porci, abbatté manzi pregni, / bevve dalla groppa della vacca…/ in millenari libri / l’aratro di mio padre sfigurò le costellazioni». Il passato è un passato di morte, violenza e desolazione, come nella litania della sposa a cui risponde lo sposo elencando una lunga serie di privazioni, di “senza” (senza mare, senza primavera, senza uscita, senza occhi, senza latte, senza bianco…). Altri personaggi portano le stimmate di una condanna metafisica, nella brutalità della loro vita ottusamente elementare: parroci, osti, macellai, scrivani comunali, artigiani e braccianti. Tra loro si erge l’io del poeta, incompreso e perseguitato, il solo capace di innalzarsi aldilà delle miserie: «voi che mi avete messo fuori, / me, una bestia qualunque, / espulso come piscia dopo la birra…». Capovolgendo «l’alfabeto di Virgilio», Thomas Bernhard fustiga non solo le “mandibole”, la “demenza” dell’«idiota provincia», ma anche la natura, nei suoi paesaggi plumbei, nelle carcasse degli animali uccisi, negli alberi rinsecchiti, nei gelidi inverni. Fuggire, allontanarsi dalla «sozza vita», cercare salvezza in Italia o in Inghilterra non serve e non basta a promettere pace al «salmo incessante» di questa «voce del lutto», come la definisce Valerio Magrelli nella quarta di copertina.
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