La pubblicazione di Gli angeli di Cocteau di Umberto Saba e Sergio Ferrero è prima di tutto l'occasione per ricordarsi di Sergio Ferrero (1926-2008), che era un personaggio poco noto, appartato e solitario, apprezzato da letterati e scrittori come Cesare Garboli, Giovanni Testori, Pietro Citati, Nico Naldini, e che ha scritto, secondo quanto si legge nel risvolto di copertina, "alcuni dei romanzi più singolari della seconda metà del Novecento", come Il gioco sul ponte, La valigia vuota, Il ritratto della Gioconda, La valigia di Voltaire. Subito dopo la sua morte, "Paragone" gli ha dedicato, con una premessa attenta e partecipe di Francesco Rognoni, buona parte del numero di agosto-dicembre 2008. Ferrero era uno scrittore con una cultura sterminata, di respiro europeo, sornionamente provinciale, con storie di ambiente aristocratico dai contorni marcati e sfuggenti, dove, diceva Garboli, vigeva una segreta e impenetrabile complicità tra padroni e servi e un quieto e insolito sadismo, per cui vivere non voleva dire uscire dai propri traumi, ma andare loro incontro. Lo distingueva poi sul piano umano la generosità, il senso dell'amicizia, l'antifascismo viscerale e l'indipendenza del giudizio. Ma di questo Ferrero adulto non c'è ancora traccia in questo suo epistolario sabiano della giovinezza, in cui è sempre presente un terzo personaggio, Federico Almansi, il giovane appassionatamente amato da Saba in vecchiaia e poi sparito, sopraffatto dalla schizofrenia. Ferrero, in uno scritto che fa da premessa all'epistolario, ricorda la nascita dell'amicizia con Federico, a cui deve peraltro il suo incontro con Saba. Ferrero racconta quanto fosse "immaturo, petulante e insieme condizionato (nel suo rapporto con Saba) dalla timidezza che lega il pensiero ed è il prodotto di un'ammirazione portata al suo estremo". Ferrero era un ventenne, bello, alto circa due metri, e Federico aveva avuto cura di dire malignamente a Saba, prima di presentarglielo, che non amava la sua poesia e lo considerava un crepuscolare, qualificazione che aveva sempre avuto il potere di far infuriare Saba. Perciò il giorno dell'incontro Ferrero era impaurito e intimidito. "Saba ‒ scrive Ferrero ‒ stava coricato, tutto vestito e col berretto in testa, su un lettino accanto a quello di Federico: ostile mi immaginai subito. Invece mi guardò, allungò una mano a salutarmi: 'Non è vero ‒ mi assolse che sia alto (disse a Federico), è come gli angeli di Cocteau che camminano sollevati un palmo da terra'. Poi mi tenne con sé tutto il pomeriggio, mi incitò a parlare di me, mi fece cantare certe vecchie canzoni che conoscevo
". Comincia così un'amicizia fatta di incontri radi e di lettere più frequenti, in cui Ferrero esprime appassionatamente il suo volergli bene, la gioia che gli danno i suoi versi e quanto le cose libere e alte che scrive si leghino alle sue pene, mentre Saba lo ascolta e gli risponde, schietto e affettuoso, senza alcuna ostentazione della sua grandezza di poeta, ma come un vecchio uomo sofferente e partecipe, che cerca di trasmettergli lacerti delle sue sofferenze e della sua inutile saggezza, tra Nietzsche e Freud. "Con la menzogna della ricompensa e del castigo si è avvelenato il fondo delle cose" scrive, oppure "Nessuna filosofia mi ha mai detto nulla; sono tutti sistemi creati dall'orgoglio, per impedire all'uomo di prendere coscienza di sé", e ancora "E avrei tante cose da dire, che non credo ci sia nessun altro ad averne, dentro di sé un così gran numero. Mi pare di non aver ancora espresso la punta estrema del mio pensiero; e che ci si una forza estranea a me che s'incarica di chiudermi la bocca". E Ferrero si sente vivificato dalla parola di quel "caro e paziente e saggissimo amico". Ma in questa corrispondenza la persona altrettanto presente, come una sorta di amorosa e inquietante ombra e messaggero, è Federico Almansi. Egli appare come l'indispensabile compagno di entrambi, che rasserena e preoccupa, autore di poesie pregevoli e racconti incantevoli e infantili, paravento per Saba a nascondergli l'orrore della sua situazione e interlocutore necessario per entrambi sino alla fine, quando è sul bordo della schizofrenia. Questa presenza incombente e questo intreccio affettivo sono assai bene analizzati nella pregevole postfazione di Basilio Luomi, che insieme a Andrea Rossetti ha curato, con ottime note, il volume. "Saba e Federico ‒ scrive Luomi ‒ sono dei désaxés, degli spostati o dei fuori sesto, per motivi in parte diversi in parte analoghi (l'origine, la guerra, le persecuzioni, la composizione famigliare, la professione, la fragilità psichica) o forse degli incompiuti che si completano a vicenda", mentre "Ferrero proviene da un mondo ‒ quello della Riviera di Ponente di displaced persons (
) che lo ha segnato, così come lo ha segnato e 'mutilato' l'antifascismo, la guerra, gli studi interrotti, la resistenza, le tragedie personali durante le fine della guerra. È anche lui 'incompleto'". Il loro sogno è di costruire un mondo chiuso e protetto per tutti e tre, come Luomi mostra bene intrecciando alcune loro lettere, ma sarà un sogno che ben presto si colorerà di improbabilità e di utopia. Per concludere, poiché ho la ventura di essere stato un lontano parente e un amico di Federico e di aver salvato dal disastro della sua vita un poco della sua corrispondenza e delle sue carte, mi trovo nella condizione privilegiata di poter aggiungere, per una nuova e auspicabile edizione di questo piccolo libro prezioso (che mi risulta essere già esaurito), qualche marginale precisazione e rettifica. Federico Almansi è morto non nel 1979, ma il 29 dicembre 1978. Posso escludere per scienza diretta che Onorina Berra, madre di Federico, si rivolgesse con il lei al proprio marito. Non vi fu un processo d'appello dopo la condanna in primo grado di Emanuele Almansi, padre di Federico, per il tentativo di omicidio del figlio. Difesa e accusa accettarono la mite sentenza pronunciata il 9 aprile 1953 dalla corte d'assise di Milano. Saba conosceva bene Alfredo Segre tramite Federico, aveva intrattenuto con lui una corrispondenza epistolare, che ho potuto leggere, e aveva scritto sull'amicizia tra Federico e Alfredo una poesia, Anche se in una lettera effettivamente Saba mostra di stupirsi per l'improbabile nome del protagonista (Doalfre Grese) del romanzo di Federico Una favola di questi anni, è difficile che Saba non vi riconoscesse il ritratto di Alfredo, anche se gli era sfuggito il trasparente anagramma, mentre ha i tratti di Federico, Arturo, l'amico che lo caccia di casa e da cui ritorna alla fine del romanzo. È pertanto di questo romanzo che parlano nella loro corrispondenza Saba e Ferrero, mentre Un angelo a Trieste, che mi è noto anche con altri due titoli, La camicia azzurra e I tre tuoni, è tutt'altra cosa, ed è precisamente quella favola di cui parla Saba nella poesia di Epigrafe dal titolo Per una favola nuova: ("E la storia / narri a me dell'angelo che vive/due giorni e mezzo sulla terra"). Emilio Jona
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