"Di fronte a Calaciura proviamo lo stesso stupore che ci assale quando leggiamo Thomas Bernhard". Così recita la quarta di copertina. Si tratta effettivamente di stupore; è questa la prima sensazione che abbiamo a una prima lettura. Poi capiamo il meccanismo (una sorta di descrittività esasperata, esagerata e tesa a evocare i paesaggi di un Sud incantevole ma straziante; questi luoghi sono spesso personificati tanto da diventare protagonisti o comprimari dei racconti), gli oggetti di questa scrittura sono la miseria, la povertà e la disperazione. Ma anche la disillusione rientra in questa raccolta di racconti, alcuni inediti e altri apparsi su vari giornali. Come in La nave cisterna, dove il protagonista è un trasportatore d'acqua, costretto a viaggiare giorno dopo giorno da un'isola all'altra. Straziato da quest'elemento tanto magnifico quanto inaccessibile e da una routine sempre uguale e nauseante, lontana anni luce dai sogni d'infanzia che il mare provocava a un ragazzino circondato dalla terra e dal lavoro pesante dei campi, ma anche da un elemento più caloroso e presente. Al centro dell'attenzione dell'autore vi sono spesso i bambini, rappresentati come inconsapevoli di un mondo al di là della loro portata, ma obbligati ad adattarvisi, come il carbonaio nel quarto racconto, Il Cicciummardo. Difficile dire se i racconti si riferiscano al presente o a un periodo storico ben preciso, alcuni potrebbero benissimo adattarsi alla realtà dei nostri giorni o parlare di cinquant'anni fa. Fatto sta che sono presi in considerazione caratteri umani universali. I personaggi e i luoghi sono qui descritti come belli ma tristi, partecipi di un destino che non appartiene loro. Si sentono gli echi di tutta una tradizione meridionale che va da Verga fino ai giorni nostri. C'è da dire che ogni tanto, come per esempio in Il soldato, a questa sproporzionata sontuosità si preferirebbe la lingua semplice di un Fenoglio, perché la guerra è sì enorme, ma dalla prospettiva degli individui è anche semplice e limitata come limitato è il loro sguardo. Marco Gadaleta
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