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scheda di Bellofiore, R., L'Indice 1992, n. 3
Pierluigi Ciocca è tanto banchiere "operativo" - ha diretto fra il 1985 e il 1988 i dipartimenti della Banca d'Italia che operano nei mercati dei cambi, dei titoli, del credito alle banche - quanto economista "teorico" - ha pubblicato due importanti volumi di economia monetaria attenti al dibattito analitico e alle riflessioni eretiche ("Interesse e profitto", Il Mulino, 1982, e "L'instabilità dell'economia", Einaudi, 1987). In questo volumetto sono raccolti alcuni suoi saggi e interventi, dopo un'attenta revisione che ne fa un vivace intervento sul bilancio e le prospettive del sistema bancario e finanziario italiano alle soglie della tanto attesa "entrata in Europa". Come scrive lo stesso autore, il libro è insieme un saggio di politica economica e una testimonianza, l'uno e l'altra alieni da ogni nostalgia per i mercati "non regolati" oggi così di moda. Ciocca ripercorre l'azione e le ragioni della Banca centrale per imporre al nostro sistema creditizio e finanziario quell'ammodernamento necessario affinché regga alla competizione, e rivendica il contributo dell'istituto di emissione nello stimolare gradualmente ma fermamente la ristrutturazione industriale grazie ad una politica rigida del cambio (un punto, questo, che avrebbe forse meritato di essere sviluppato ulteriormente, considerando anche le conseguenze di quella politica sull'indebitamento interno ed esterno del paese). In conclusione, Ciocca espone sobriamente una preoccupazione: il Mercato unico aumenterà e non ridurrà il rischio di instabilità traumatica. Un rischio per ridurre il quale l'azione della Banca centrale ha fatto certo quello che poteva aumentando quella leva di modernizzazione che è la concorrenza, ma che può non essere abbastanza se altri interventi strutturali, nel settore privato e in quello pubblico, non verranno attuati. Questo dubbio conduce, ci pare, ad un'affermazione che molta dell'accademia attuale giudicherebbe scandalosa, e cioè che l'istituto d'emissione non può trascurare gli effetti perversi che variazioni del tasso d'interesse finalizzate esclusivamente all'equilibrio esterno hanno sul ritmo di crescita e sulla stabilità sistemica.
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