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Anno edizione: 2016
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Il commento alle pagine bibliche mostra la consueta lucidità e ricchezza che è propria dei testi del cardinal Ravasi. Pur partendo da un orizzonte in apparenza limitato (pochi versetti nei Vangeli di Matteo e Luca), il fulcro del credo cristiano viene riproposto in modo efficace, evidenziando i rimandi all’antico testamento e delineando influssi e studi che si sono sviluppati nella società e nella cultura dei secoli successivi. L’analisi semantica si accompagna a riferimenti letterari, pittorici e musicali non scontati. Si aprono finestre, per forza di cose non esaustive, su grandi temi come la sofferenza e la giustizia. Nel complesso, la lettura è stimolante, sempre a patto di essere interessati alla materia.
Interessantissimo ed ennesimo libro eccezionale del card. Ravasi. Le Beatitudini dal Vangelo di Matteo, riportate in parte da quello di Luca, sono senz'altro il più grande discorso all'umanità di ogni tempo. Anche se sono state interpretate da ognuno per secoli come più gli piaceva, come più si potevano piegare alle singole realtà personali, ancora oggi le Beatitudini sono attualissime e rappresentano la migliore carta d'identità dell'uomo, di qualunque razza, religione, sesso sia. E poi è interessante il parallelo con le Beatitudine ebraiche, in particolare dai Salmi, alla conferma che Gesù Cristo non è venuto per uccidere l'ebraismo ma per completare l'opera dei profeti.
Recensioni
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Ravasi esplora i più suggestivi sentieri dello spirito, cercando le tracce delle Beatitudini già tra le righe dell'Antico Testamento, e proponendo uno stimolante confronto con le Beatitudini ebraiche.
La gioia che dà il mondo è vanità. La aspettiamo con grande desiderio, ma quando arriva non riusciamo a trattenerla. La tristezza di chi soffre ingiustamente è invece meglio della gioia di chi ha commesso iniquità
- S. Agostino
Il discorso della Montagna, una tra le più maestose pagine di letteratura mai scritte, è uno dei cardini su cui poggia, o almeno dovrebbe, la civiltà occidentale. Ha ispirato romanzieri, pittori, filosofi e registi, da Tolstoj a Pasolini, passando per Caravaggio, a prescindere che essi fossero credenti o meno, per il messaggio egalitario di eversiva bellezza, esposto in comandamenti semplici, chiari e praticamente attuabili, capaci, qualora messi in atto, di dar vita alla società ideale.
Fu il primo dei cinque grandi discorsi pronunciati da Gesù nel Vangelo secondo Matteo, il primo appello universale a condurre una vita morale, nell’essere e nell’agire. Il messaggio tuttavia è lontano dall’essere un semplice codice etico, infatti Matteo lo propone come una sorta di Magna Charta di indole teologica, religiosa e spirituale, pensata come solenne rinnovamento dell’alleanza con Dio, in una riproposizione, anche nella simbologia topografica, della Rivelazione divina enunciata per bocca di Mosè. Il monte da cui il Cristo proferì quel messaggio ricorda infatti nella sua cornice geografica, più simbolica che fisica, il Sinai. Matteo quindi convoglia materiali differenti, probabilmente pronunciati da Gesù in momenti diversi, ordinandoli in un unico discorso, per rendere manifesto il parallelismo mosaico.
Ravasi, ricollegandosi agli studi dei più importanti esegeti biblici, analizza inoltre le Beatitudini secondo Luca, pagine di gran lunga meno celebri rispetto al discorso matteano, ma totalmente equivalenti a livello contenutistico. L’arcivescovo si sofferma innanzitutto su un aspetto solo in apparenza secondario, riguardante la diversa ambientazione del discorso all’interno dei due vangeli. Nella versione lucana non viene infatti pronunciato su un altopiano ma su una piana. Le ragioni di tale incongruenza vengono lucidamente esposte da Ravasi, il quale mette in luce come la diversa collocazione geografica del discorso rispecchi differenti programmi riguardanti la missione evangelizzatrice dei discepoli. Per Matteo il messaggio annunciato da Gesù era di carattere universale, rivolto quindi alla stessa maniera di Mosè sul Sinai, un appello a fare proselitismo tra chiunque fosse preparato ad accogliere la novella cristiana. In Luca invece il discorso è più criptico, quasi iniziatico, come se fosse un invito a intraprendere un percorso di difficile realizzazione, pensato solo per quei pochi capaci di seguire già in vita, e non solo dopo l’avvento del Regno, il pieno messaggio cristiano. Per tale motivo il discorso avviene su una pianura, affinché possa essere udito solo da coloro fisicamente prossimi a Gesù.
Ma che senso ha realizzare un’opera di esegesi biblica semplificandone il linguaggio per renderla comprensibile al lettore profano?
Nella convinzione che il messaggio annunciato dal Cristo su quel monte ignoto non venga dimenticato dai contemporanei, cristiani e non, Ravasi analizza con maestria filologica e grande perizia esegetica, servendosi di un lessico comprensibile al grande pubblico, le due versioni delle Beatitudini contenute nei Vangeli di Matteo e Luca, per illustrarne il lascito culturale e l’influenza avuta nel corso dei due millenni che ci separano dall’avvento del Cristo. L’arcivescovo confronta inoltre i due testi con gli archetipi vetero-testamenti delle Beatitudini della tradizione giudaica, portando alla luce il grande debito dei vangeli nei confronti della Torah.
Ne esce un’opera dalla duplice anima, capace di rispecchiare sia la grande cultura dell’arcivescovo, sia la sua capacità di rivolgersi al lettore in qualità di uomo di fede, desolato dalla secolarizzazione dilagante che ha forgiato una società incapace di comprendere quanto il messaggio cristiano possa essere d’esempio anche per i laici.
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