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Il dialogo tra Sergio Givone e Francesca Nodari prende l'avvio dall'humus familiare in cui si è formato il filosofo piemontese,nato da una famiglia contadina nel 1944,e dalle sue prime letture,in un paesaggio dominato da brume e risaie.Anni non facili per una bambino meditativo qual era lui,intento a scoprire il mondo intorno a sè e sopra di sè,con un interesse precoce per Leopardi e Fogazzaro,ma anche per l'astronomia volgarizzata da Flammarion. Dopo il liceo classico,e la scoperta entusiasta dei tragici greci,furono gli studi universitari a Torino che incisero di più nella sua cultura: lettura dei capolavori russi e frequentazioni di ambienti teatrali e musicali,che per poco gli fecero balenare l'ipotesi di scegliere una carriera artistica.Ma poi la decisione irrevocabile di dedicarsi alla filosofia:"non la sovrastruttura,ma la struttura.Vale a dire:la sostanza,la vita,l'anima delle cose."Alla scuola di Torino i due nomi più noti si fronteggiavano con indirizzi diversi,seppure entrambi rifacentesi all'esistenzialismo:Abbagnano e Pareyson.Il giovane studente che proveniva dalla campagna "avvertiva una tensione intellettuale, un fuoco..in grado di appiccare incendi". Vicino a lui,assitenti che sarebbero diventati dei capiscuola del pensiero filosofico italiano. Partendo dall' "ineliminabilità del momento platonico della filosofia",il giovane Givone fu attratto dai temi fondanti del pensiero dai presocratici in poi:la verità,il bene,la religione.E poi la scienza che scopre e l'arte che inventa,attraverso i giganti della filosofia:da Plotino fino a Jonas, passando per Pascal a cui dedicò la sua tesi.L'esposizione di Givone approfondisce i nodi fondamentali della sua ricerca,che ha toccato soprattutto i temi dell'essere e del nulla,l'esistenza di Dio e della Provvidenza,il dolore innocente,la libertà,il male.E poi il tempo e la storia,il destino e la colpa.Sono pagine di profondo anelito verso la verità,che portano il lettore ad altezze inconsuete.
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