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L'argomento è molto interessante, purtroppo questo libro non è scritto in modo scorrevole, peccato.
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Opportunista e transfuga politico. Abile e fedele uomo di stato. Economista visionario e innovatore. Sono solo alcune delle definizioni con cui si può provare a descrivere la personalità di Alberto Beneduce. Definizioni assai diverse fra loro, ognuna capace tuttavia di dare parziale conto di colui che e così si aggiunge all'elenco un'altra chiave di lettura prosopografica fu il grand commis di Mussolini.
Non c'è storico né politologo che non sia convinto di saperne abbastanza su Beneduce. In realtà, la conoscenza in merito a questo "figlio del Sud", nato a Caserta nel 1877, è circoscritta alle sue più note opere di ingegneria finanziaria. Il libro di Mimmo Franzinelli e Marco Magnani (non a caso uno storico politico il primo, uno storico economico il secondo) rende giustizia alla densa biografia dell'uomo che gettò i binari lungo i quali sarebbe corso il rapporto fra operatore pubblico e industria italiana dal primo dopoguerra allo scadere, quasi, del Novecento.
Beneduce è il demiurgo dello stato imprenditore, modello vituperato et pour cause nell'ultimo segmento della sua parabola storica, però in grado negli anni trenta di trarre in salvo il sistema industriale e creditizio dallo tsunami scatenato, già prima del crollo borsistico americano, dalla scellerata "fratellanza siamese" tra le banche miste e le maggiori aziende del paese. Un modello, quello dello stato imprenditore, che, al netto di deprecabili fuoripista, promosse il miracolo economico del 1950-63. Un modello dove proprietà pubblica e gestione privatistica si contemperavano sotto la guida, nel secondo dopoguerra, di tecnocrati cresciuti a fianco dello stesso Beneduce, e che da questi avevano ereditato il "senso della missione", indispensabile per amministrare con buon equilibrio un potere vertiginosamente ampio.
Fin qui, il già noto. L'originalità dello studio di Franzinelli e Magnani sta nell'avere tratteggiato un ritratto in cui l'impegno in campo economico-finanziario si incrocia con il credo ideologico e la partecipazione politica. Il grande rilievo attribuito alla fonte epistolare, pur utilizzata talvolta con eccessiva prodigalità, permette inoltre di estendere l'esplorazione fino a comprendervi anche quella sfera privata (nei casi in cui essa ha un rilievo pubblico) che né la produzione a stampa, né le carte ministeriali possono indagare.
In questo libro, il "tre" si impone come numero-chiave. Tanti, infatti, sono i piani di analisi: le relazioni interpersonali, l'attività politica e quella professionale. E la tripartizione si ripete in corrispondenza a ciascun piano. Muovendo dal primo livello di indagine, tre sono gli incontri che segnano la vita di Beneduce: quello con Francesco Saverio Nitti, conosciuto in gioventù e di cui egli seguì le orme fino al primo dopoguerra; quello con Bonaldo Stringher, governatore della Banca d'Italia e suo mentore negli anni venti; quello con Mussolini.
Tre sono anche le stagioni politiche di Beneduce: repubblicano e massone in gioventù (un'affiliazione, quest'ultima, che mantenne sino alla messa al bando delle società segrete da parte del fascismo); social-riformista dall'inizio del Novecento (eletto deputato nelle file dell'Unione socialista italiana nel 1919, più tardi divenne ministro del Lavoro nel gabinetto Bonomi); infine, fascista dell'ultima ora.
Un discorso analogo vale per l'attività svolta come "servitore dello stato". Gli impieghi presso la Direzione centrale di statistica e il Commissariato dell'emigrazione precedono gli anni trascorsi all'Ina e all'Opera nazionale combattenti, di cui occupò i massimi uffici durante il conflitto mondiale. Nel dopoguerra videro la luce il Crediop (1919) e l'Icipu (1924), istituti di cui fu ideatore e organizzatore (i due primi "enti Beneduce"), sorti rispettivamente per ridurre la disoccupazione postbellica attraverso il finanziamento delle opere pubbliche e per sostenere l'industria elettrica. L'acme della sua carriera, coinciso con la fondazione e la presidenza dell'Iri (1933), giunse dunque al termine di un percorso molto articolato, nel quale tuttavia gli autori riescono a distinguere un fattore di lungo periodo, e perciò unificante, nello sforzo teso a dipanare gli intrecci fra le banche miste e la grande industria nazionale.
La straordinaria concentrazione di cariche economiche di cui, a metà degli anni trenta, Beneduce fu il terminale, non ha pari nella storia italiana. Nel luglio 1936 un ictus lo costrinse a defilarsi dalla scena pubblica. Il mantenimento per qualche tempo ancora della presidenza della Bastogi, la nomina a senatore voluta da Mussolini nel 1939 e quella tessera del fascio presa un anno dopo (con colpevole ritardo, secondo i sansepolcristi) sono i cascami di un tessuto esistenziale roso dalla malattia e poi definitivamente strappato dalla morte, che lo colse nel buen retiro della sua villa sulla Cassia poche settimane prima della liberazione di Roma.
Roberto Giulianelli
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