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Il libro di Federico è "uno spettacolo", in ogni senso italiano del termine. Spettacolare negli intenti e negli esiti, teatrale nella passione che vibra fra le righe, cinematografico nella resa. E'un libro da leggere al liceo, quando ci si infiamma ancora per certe cose, quando si grida ancora con tutto il fiato che si ha in corpo e si sogna fino a farsi venire il sangue dal naso. Il voto che ho scritto qui di seguito non significa nulla perché i numeri non contano di fronte a questo inebriante spettacolo...
In un futuro non troppo lontano a Silvio Berlusconi viene addirittura intitolato un liceo. Ed è questa la scuola frequentata dai due protagonisti del romanzo, Gianna e Tobia. I due vivono in un mondo che ha perduto ogni speranza, dove il sole e la luna sono stati sostituiti da luci artificiali, il mare non è neanche avvicinabile, la società è strettamente controllata dalle forze dell’ordine, ma la violenza riesce lo stesso ad essere l’unica logica accettabile. Loro però si innamorano, e cercano di ribellarsi. Insieme agli altri studenti occupano il “Berlusconi”, lottano, scoprono di credere nelle stesse idee, difendono i propri sogni. Questa sorprendente favola nera, che ricorda alcuni romanzi di Boris Vian, scritta da uno studente di liceo fra i 18 e i 19 anni, adesso venticinquenne, rinuncia al melenso realismo psicologico di tante opere giovanili di grido, per dipingere un fantascientifico e dettagliato affresco della società che (forse) verrà. Dal romanzo affiora una scaltra ironia, la struttura a mosaico si rivela incalzante, e intorno alla storia d’amore tra Gianna e Tobia si dipana un lessico, un immaginario di rara inventiva, che ebbe modo di stupire, attraverso la pubblicazione di due capitoli su una rivista, il compianto Luigi Baldacci.
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