Per il catalogo della mostra milanese Bernardino Luini e i suoi figli, i curatori Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa riprendono la soluzione del doppio volume, già esplorata nell'esposizione dedicata al Rinascimento in Canton Ticino svoltasi a Rancate nel 2010. Il vero e proprio catalogo è pertanto affiancato da un volume di Itinerari che, con schede puntuali, guida il visitatore a vedere le opere che, per scelta o per impossibilità, non sono fisicamente presenti in mostra. Il sottotitolo della rassegna ticinese suonava Da Bramantino a Bernardino Luini e l'aver fatto seguire, con implacabile cadenza biennale, le due mostre milanesi su Bramantino (2012) e ora su Bernardino Luini conferma la coerenza del progetto. Rispetto alle prime due mostre, di taglio territoriale la prima, monografico la seconda, questo terzo appuntamento si presenta in realtà molto diverso, nonostante in teoria si possa pensare gemello del precedente bramantiniano. La differenza, prima ancora che nella mostra vera e propria, è evidente nella costruzione del catalogo. I curatori, che come loro consueto si avvalgono ampiamente dell'opera di giovani studiosi e persino di studenti universitari (in tempi in cui si raccomanda dall'alto che le tesi triennali siano il più possibile brevi e insignificanti, questa pratica può rappresentare una interessante contromisura), rinunciano qui all'ampio saggio introduttivo presente nelle precedenti occasioni, a favore di un' asciutta introduzione in cui si forniscono le linee guida del progetto. Poi si entra subito nel vivo, con il materiale organizzato in dodici sezioni, ciascuna aperta da una breve introduzione, seguita dalle schede delle opere (solo quelle di Luini; quelle di confronto in più casi, non me ne vogliano gli entusiasti del nostro Bernardino, più belle dei dipinti del protagonista, e in qualche caso vertici assoluti non vengono schedate). Grande attenzione è posta, come sempre dai curatori, alle vicende materiali delle opere, alla loro fortuna critica (benvenuto sarebbe stato anche un accenno all'Italiano di Henry James e agli Italian Backgrounds di Edith Wharton, che su Luini si soffermano a lungo), alle vicende conservative, alla cronologia delle copie e delle riproduzioni fotografiche. Differenziandosi anche in questo dal precedente catalogo dedicato a Bramantino, meno presenti appaiono invece le discussioni relative allo stile; talvolta anzi le datazioni, specie quando si discostano da quelle più comunemente accettate, avrebbero beneficiato di argomentazioni più estese. Del resto, è lo stile stesso di scrittura a essere profondamente mutato, e forse in meglio: non più una prosa quasi barocca, a tratti aspramente polemica, ma al contrario uno stile piano, misurato, distaccato ed evidentemente improntato a una programmatica medietas. Bernardino Luini, il pittore lombardo forse più amato dell'Ottocento, poi precipitato nel gusto novecentesco e oggetto invece di rinnovato interesse negli ultimi quarant'anni (per questo stesso anno si annuncia su di lui, del tutto indipendentemente da questa mostra, una monografia sistematica), viene seguito nel percorso della mostra e del catalogo secondo una griglia prevalentemente cronologica. Gli inizi veri e propri, che secondo un passo nient'affatto chiaro di Giovan Paolo Lomazzo potrebbero essere avvenuti nella stessa bottega in cui avvenne la formazione del di lui più grande Gaudenzio Ferrari, si sviluppano attraverso una importante e prolungata esperienza nell'entroterra veneto, tra Verona e soprattutto Treviso (con la Sacra Conversazione di Padova che deve sicuramente stare al di qua di quella del Museo Jacquemart-André di Parigi, firmata e datata 1507, e del Compianto di Budapest, dove già iniziano a far capolino alcune sigle formali che caratterizzeranno la futura attività del pittore). Il ritorno a Milano (dove è documentato nel 1508) coincide con l'ineludibile confronto con l'ultima maturità di Leonardo e col Bramantino al rientro da Roma, quello della Madonna del Broletto nuovo. Questi elementi entrano prepotentemente nella Madonna della buonanotte affrescata nell'abbazia di Chiaravalle Milanese nel 1512, e ancor più negli affreschi (ora dispersi per il mondo, e in parte radunati in mostra) della Villa suburbana di Gerolamo Rabia: la data 1514 del matrimonio tra Rabia e Ippolita Pagnani, ritrovata da Silvio Leydi, rappresenta sicuramente uno dei punti di maggior forza e novità di questa mostra. Da quel momento Bernardino ha il vento in poppa e, grazie anche alla scomparsa, repentina o meno, dei maggiori pittori lombardi suoi contemporanei, si assicura il primato, che attraversa indenne i passaggi dalla dominazione francese alla restaurazione sforzesca: affreschi, polittici, ritratti (pochi, per ora), quadretti per la devozione privata che originano una fortunata produzione seriale. Da Milano a Saronno, da Maggianico a Lugano, da Como a Legnano, alla Certosa di Pavia: il Ducato di Milano non sfugge alla sua sfera di influenza, con l'eccezione del Novarese, saldamente controllato da Gaudenzio, che però, al di là delle sortite comasche e valtellinesi, dovrà attendere la morte di Luini per diventare a sua volta il più richiesto pittore lombardo. Quando Gaudenzio muore nel 1546, la bottega di Luini, guidata da Giovanni Lomazzo, cugino della moglie di Bernardino, continua a sfornare dipinti nello stile del maestro: sarà l'ultimo e più dotato dei suoi figli, Aurelio, ad abbandonare "l'editoriale luinesca" a favore di una svolta senza ripensamenti nel mare aperto del Manierismo. Gli accertamenti, le novità e le proposte rendono questi due volumi uno strumento importante per chi studia il Cinquecento lombardo. Alcune tesi si presteranno a essere discusse (la cronologia della Susanna in Collezione Borromeo, collocata al 1515-1516 circa, pare troppo alta, mentre penso che non appartengano alla fase ultima del pittore le tele del Duomo di Como e gli affreschi del tramezzo esterno di San Maurizio a Milano; come dire che l'intero percorso dell'artista può essere disegnato diversamente), ma ciò apparterrà alla normale dialettica degli studi o, per usare le parole dei curatori, alle "regole del gioco", e porterà, si auspica, a ulteriori avanzamenti di conoscenza. Una menzione, infine, va fatta alla qualità editoriale dei volumi: eleganti nell'impaginato e ottimi nella resa delle fotografie, in buona parte appositamente realizzate da Mauro Magliani. Edoardo Villata
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