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Anno edizione: 2021
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Anno edizione: 2021
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Libro candidato da Maria Rosa Cutrufelli al Premio Strega 2021
Con una penna vibrante, intinta nella storia del Novecento e affilata da una profonda sensibilità per le umane lacerazioni e debolezze, Marilù Oliva disegna una vicenda incalzante che è anche una riflessione su quello che le famiglie non dicono, sulle ferite non rimarginate che si riaprono, implacabili, attraverso le generazioni. Un romanzo che dà voce al rimosso di un secolo.
«Queste pagine, drammatiche e angoscianti, rivelano atrocità documentate» - Patrizia Violi, la Lettura
Giovanni è un uomo affascinante, generoso e fallito. Candi è una donna bellissima che esagera con il turpiloquio, con l'alcol e con l'amore. E Bianca? È la loro unica figlia, che cresce nel disordinato appartamento della periferia bolognese, respirando un'aria densa di conflitti e di un'inspiegabile ostilità materna. Fin da piccola si rifugia nelle fiabe, dove le madri sono matrigne ma le bambine, alla fine, nel bosco riescono a salvarsi. Poi, negli anni, la strana linea di frattura che la divide da Candi diventa il filo teso su un abisso sempre pronto a inghiottirla. Bianca attraversa così i suoi primi vent'anni: la scuola e gli amori, la tragedia che pone fine alla sua infanzia e le passioni, tra cui quella per i libri, che la salveranno nell'adolescenza. Negli anni Novanta, infatti, l'eroina arriva in città come un flagello e Bianca sfiora l'autodistruzione: mentre sua madre si avvelena con l'alcol, lei presta orecchio al richiamo della droga. Perché, diverse sotto ogni aspetto, si somigliano solo nel disagio sottile con cui affrontano il mondo? È un desiderio di annullarsi che in realtà viene da lontano, da una tragedia vecchia di decenni e che pure sembra non volersi estinguere mai: è cominciata nel Sonderbau, il bordello del campo di concentramento di Buchenwald.
Proposto da Maria Rosa Cutrufelli al Premio Strega 2021 con la seguente motivazione:
«Il romanzo di Marilù Oliva – Biancaneve nel Novecento, Solferino libri – mescola il presente al passato per raccontarci come il dolore e la sofferenza non si lascino dimenticare. Come affiorino nei modi più inaspettati e nei luoghi più diversi per plasmare la nostra vita. Una bambina e un’anziana signora sono le due voci narranti che si contrappongono e s’intersecano per tutto il libro, come in un confronto a distanza. La bambina, Bianca, parla della sua piccola vita e degli incomprensibili conflitti che scuotono la sua famiglia e le procurano ferite difficili da sanare. La bambina cresce ma le ferite non guariscono e anzi fuori, nel mondo, diventano ogni giorno più fonde. Non c’è felicità nella sua famiglia, come non c’è giustizia nel mondo. Bianca vive a Bologna, una città descritta nelle sue pieghe più nascoste, in tutta la sua moderna complessità. L’altra, Lili, l’anziana signora, vive a Roma, ma il suo dramma si è consumato altrove. Adesso abita lì, in una grande casa, e tuttavia, mentre guarda la città dalla terrazza, la sua mente va ad altri luoghi e altri tempi. I suoi ricordi sono precisi, dettagliati: indelebili. Sono il racconto della più grande tragedia del “secolo breve”: i campi di sterminio nazisti. La sua voce dolente ci porta nel campo di Buchenwald, nel bordello dove vengono rinchiuse le giovani deportate. Lili racconta ciò che accadeva là dentro e lo fa dalla sua prospettiva di sopravvissuta. Di vittima che non riesce più a uscire dalla prigione del suo dolore. La sua sofferenza è simile a una malattia contagiosa, che colpisce chi le sta più vicino. I due racconti si alternano fin quasi alla fine, fino al momento in cui i ricordi di Lili e la vita di Bianca trovano il punto di sutura. E allora le voci si placano e, in un certo senso, si fondono in un nuovo equilibrio. Un romanzo tenero e feroce, che entra nella Storia per farci capire come il male generi altro male, inevitabilmente. Come il nostro “passato” non passi mai, se non lo mettiamo a fuoco, con tutti i suoi errori e orrori. E, soprattutto, se non esercitiamo la nostra capacità di empatia e di compassione, cercando di sanare le ferite degli altri, che sono anche le nostre. È per questo sguardo attento e compassionevole, assecondato da una scrittura vivida, ben calibrata, che desidero presentare il romanzo di Marilù Oliva (con il suo consenso) all’edizione 2021 del Premio Strega.»
Un vero e proprio capolavoro. Scrittura magistrale e personaggi che entrano nel cuore. assolutamente da leggere
Bellissimo. La storia di questa ragazza e del suo rapporto conflittuale nei nostri tempi con sua madre, inizialmente regina maligna e poi donna con le sue imperfezioni e i suoi vizi. Un rapporto avvelenato già in principio, perché anche la sua stessa madre è una donna avvelenata perché cresciuta come risultato di uno stupro e dall'esperienza nei campi di concentramento. Libro toccante, vibrante e sincero.
La vita per qualcuno è una matrigna, che troppo spesso, con troppa frequenza per essere un caso, mostra il suo volto più severo, il disamore maggiore, il lato più duro, sofferto e violento nella quasi totalità dei casi come una sorta di appannaggio esclusivo per il genere femminile. Questo sempre, da sempre, le donne pagano il prezzo maggiore, in tutti i tempi ma mai in maniera tanto eclatante e documentata come nel Novecento, secolo di grandi eventi, di grandi donne, di grandi guerre e di infinite atrocità, non un secolo ammodo per le ragazze, diciamolo. Solo di sfuggita il libro è incentrato sulla figura di Biancaneve, una delle favole più note e popolari, ma di fiabesco questo libro non ha niente, questo è un racconto di vita reale, narra di donne vere e non vissute solo sulla carta, davvero un bel romanzo, ben scritto, avvincente e appassionante, non un’elegia del femminile ma una cronaca al femminile, un libro scritto da una donna per le donne, perciò non verosimile, ma concreto, reale, vissuto, la scrittrice è padrona del suo scritto, sa benissimo di cosa sta parlando, prende in pugno l’esistenza delle sue protagoniste, non ne decanta la storia, la fa vivere facendola raccontare da loro stesse in prima persona. Direi che è solo il pretesto per l’autrice per ribadire, proseguendo sulla falsariga della sua precedente produzione libraria, che l’esistenza per alcuni, e per le donne in particolare, non è facile, specie per le donne l’esistenza, e non per loro colpa, è matrigna. Nessuno sta solo sul cuore della Terra, tutti abbiamo bisogno di amore. Le donne lo sanno, sono tra di loro legate per discendenza diretta: l’amore è necessario per una crescita rigogliosa, sempre, finanche quello di una matrigna, non è detto che sia il peggiore, anzi, spesso è vero il contrario, dopotutto anche una matrigna è una madre.
Recensioni
Bianca ha quattro anni all’inizio degli Anni Ottanta e vive alla periferia di Bologna con due genitori che si amano, ma il cui rapporto è minato da qualcosa di ben profondo. Lui, sognatore brillante e affascinante, cerca, allenando aspiranti boxeur in una palestrina, di rimediare a quelli che sono i suoi sogni sportivi infranti. Lei, Candi, bellissima e dinamica, gira per i paesi del Modenese vendendo asciugamani e lenzuola, la pettinatura impeccabile, un neo disegnato sopra il labbro per assomigliare alla Monroe e il vizio del bere. Accanto al padre che è a casa con lei mentre la madre trascorre lavorando le sue giornate, Bianca attraversa con gli occhi di bambina le notizie di stragi che vanno da Ustica alla stazione di Bologna, del terremoto dell’Irpinia, e, da adolescente, cammina accanto alle strade che si punteggiano di vittime della droga e compagnie diversamente assortite e il dolore del disastro al liceo di Casalecchio di Reno smembrato da un aviogetto. Tessendo la sua storia personale con trasposizioni personali che fa delle fiabe. Del resto, si chiama Bianca, abbreviazione, per lei, di Biancaneve.
Lili negli Anni Quaranta ha più o meno vent’anni, sposata a un uomo mai conosciuto prima, deportata dalla Francia al campo di concentramento di Buchenwald poiché la famiglia del marito nascondeva in casa alcuni ebrei. E lì la sua dignità viene calpestata fino al luogo dove finisce a passare le sue giornate: il Sonderbau che accoglie il bordello, ulteriore agghiacciante realtà di un luogo dove l’uomo e la donna non erano più trattati come esseri umani.
Due storie, due voci narranti, che scorrono parallele nel romanzo di Marilù Oliva “Biancaneve nel Novecento” (Solferino), libro di rara bellezza e rara intensità, dove le parole sono preziose e trattate con rispetto e amore. Perché sono lo specchio delle emozioni e lo strumento per raccontare l’andata e ritorno da inferni della Storia e della quotidianità e per dire che la Storia è insieme di storie che devono essere narrate perché ne resti memoria.
Lacrime e sorrisi, voglia di gridare e necessità di ascoltare in silenzio pagine passate e recenti che graffiano la pelle e l’anima, pagine passate e presenti davanti alle quali ci si è troppo spesso voltati dall’altra parte, ci si volta ancora troppo spesso dall’altra parte.
La ricerca documentale di Marilù Oliva sui bordelli dei lager si dipana con una maestria narrativa che te li schiaffa sotto gli occhi, assieme alle cicatrici e alle ferite che a quelle donne sono state lasciate da percosse immotivate di chi le rendeva schiave. Le cicatrici visibili delle violenze fisiche, ma anche quelle che restano dentro, che segnano l’anima, e che nelle pagine di “Biancaneve nel Novecento” vengono tratteggiate con una forza emotiva e della scrittura tali da renderle visibili tanto quanto quelle lasciate dalle botte, dai pugni, dalle frustate e dai calci.
Perché una delle grandi forze di questo libro di Marilù Oliva è quello di far vedere la sofferenza che si ha dentro, di dare voce a parole rimaste inascoltate, a silenzi imposti da una vergogna a cui sono costrette le vittime anziché carnefici. Ma anche quella di raccontare madri e figlie, ma anche padri e figlie, e di raccontarle e raccontarli cercando la forza dell’amore anche quando ha paura a farsi vedere. Quando fa fatica a farsi vedere.
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