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recensione di Morchio, R., L'Indice 1993, n. 5
Il libro merita una segnalazione per almeno due motivi: per il suo contenuto, ma anche per un'altra ragione. Sembra infatti inevitabile che quando una disciplina ha raggiunto la sua piena maturità non possa evitare di rivolgere prima o poi uno sguardo critico su se stessa, per studiare la validità e l'originalità dei suoi metodi, i suoi punti di forza ed i suoi limiti, la sua autonomia, i suoi rapporti con le altre discipline e quindi, in definitiva, la sua stessa legittimità. È ciò che sta capitando anche alla biologia. In realtà tra i biologi qualcuno si è sempre occupato di questi problemi, anche se, spesso, tra l'indifferenza generale. Ma oggi questa tendenza sembra consolidarsi e approfondirsi. Non che l'interesse generale dei biologi in proposito si sia molto allargato, ché anzi molti preferiscono lavorare in concreto sui loro problemi trascurando questioni più generali, ma è indubbio che sono sempre di più i biologi di alta esperienza e di notevole qualificazione che rivolgono la loro attenzione ai problemi sopra indicati. Azzone, professore di patologia generale presso la facoltà di medicina dell'università di Padova, è uno di questi. Sembra perciò doveroso segnalare questo suo recente libro dedicato proprio alle tematiche indicate. E bisogna dire anche che la struttura e la leggibilità del libro lo rende di estremo interesse anche per i filosofi della scienza e, in genere, per tutti agli uomini di cultura.
Il volume di Azzone affronta nella prima parte i problemi indicati sopra, per rivolgere, nella seconda, la sua attenzione anche ai problemi più generali della medicina. I lettori possono naturalmente concordare o meno sulle tesi espresse dall'autore, ma non possono non riconoscere che il libro costituisce un esauriente censimento dei problemi sul tappeto e un ragionevole esame critico di essi. Non essendo purtroppo possibile, nel breve spazio di una recensione, discutere tutte le problematiche proposte dal libro, ci limiteremo a poche note su alcuni dei temi più delicati.
L'autore affronta il problema dell'autonomia delle scienze biologiche e si pronuncia in favore di tale autonomia. Poiché sembra difficile contestare le argomentazioni presentate, su di esse non ci soffermeremo, così come non ci soffermiamo sull'analisi della diversità tra mondo animato e mondo inanimato, anche perché tale diversità ci sembra logicamente implicata dall'affermazione di autonomia delle scienze biologiche. Se infatti tale diversità non sussistesse, non si capirebbe perché i sistemi animati e quelli inanimati, simili fra loro, non dovrebbero consentire di essere studiati in base alle stesse leggi: quelle della fisica e della chimica.
Queste considerazioni conducono direttamente al problema del riduzionismo: se cioè lo studio delle scienze biologiche sia riducibile senza residui all'applicazione delle leggi della fisica e della chimica. Molte delle considerazioni di Azzone sono senz'altro condivisibili. Non c'è dubbio che l'accettazione di un qualche programma riduzionista, indipendentemente dalla sua realizzabilità, può essere uno stimolo potente per la ricerca, ma resta il fatto che una formulazione "forte" del riduzionismo pone difficili problemi di non facile soluzione. Ha ragione Azzone quando, seguendo Nagel, sottolinea che il metodo riduzionista riguarda le relazioni tra le teorie e gli enunciati, e non tra le proprietà ed i comportamenti degli oggetti. Solo che, anche qui, le difficoltà non mancano. Basta provare - e chi scrive ci ha provato - a "ridurre" un qualche enunciato che definisca un qualche oggetto biologico, per quanto semplice, ad un enunciato che contenga solo termini appartenenti al linguaggio della fisica e della chimica. L'autore distingue una biologia funzionale dove sarebbero interamente applicabili il linguaggio e le leggi della fisica e della chimica, da una biologia evoluzionistica totalmente autonoma dalle suddette discipline. Lo spazio non mi consente un'analisi attenta della proposta che, per la verità, non mi pare del tutto soddisfacente.
Naturalmente quando si dice che i sistemi animati differiscono da quelli inanimati e che quindi la biologia è autonoma, non si intende affatto dire che i sistemi viventi non seguono le leggi della fisica e della chimica: dopo tutto sono fatti di atomi e di molecole. Azzone mette in chiaro molto bene tutto questo. Ma precisa che la questione consiste nel fatto che i sistemi biologici sommano alle leggi della fisica e della chimica delle "leggi aggiuntive". Tali "leggi aggiuntive" possono senza alcun dubbio dar luogo a qualche sospetto. Per la verità Azzone è molto chiaro: restano assolutamente fuori gioco 'vis vitalis', "potenze" varie e altri ingredienti del genere. Si vuol rimanere saldamente ancorati al solido terreno della scienza. Molto bene. Ma allora le "leggi aggiuntive" non sono che "leggi naturali" e come tali hanno lo stesso status delle leggi della fisica e della chimica alle quali si affiancano a pieno titolo. E allora: perché "aggiuntive"?
Ma poi: siamo proprio sicuri che queste "leggi aggiuntive" non siano semplicemente leggi di validità generale, che per dare compiutamente tutti i loro frutti abbiano bisogno di espletarsi in un sistema complesso, restando i loro effetti irrilevanti nei sistemi ordinari? Mi spiego con un esempio semplice, appartenente al livello molecolare. Due atomi legati tra loro da un legame semplice possono ruotare attorno a tale legame, come se fosse un asse (fenomeno della cosiddetta "rotazione interna"). Questo, compatibilmente con certi vincoli, accade in tutte le molecole. Nelle molecole piccole è però di trascurabile importanza. In una molecola d'acqua, considerando uno dei due legami che collegano i due atomi d'idrogeno all'ossigeno, può aversi la rotazione. Ma che un atomo d'idrogeno (il protone) ruoti attorno al suo legame è del tutto irrilevante. La molecola d'acqua resta la stessa e mantiene inalterate tutte le sue proprietà.
La situazione cambia drammaticamente quando la rotazione interna ha luogo in un edificio molecolare complesso: una proteina, ad esempio. In tal caso quando attorno ad un legame che fa parte della lunga catena molecolare avviene una rotazione, l'atomo che ruota e cui sta attaccato il resto della catena, trascina con sé, nella rotazione, il tratto seguente di catena. È per questo che la conseguente flessibilità delle catene delle complesse molecole biologiche consente a queste di assumere complessi assetti spaziali (eliche e super-eliche, ad esempio) cui sono legate le loro proprietà biologiche. E poiché altre rotazioni interne possono alterare tali assetti spaziali, una proteina, ad esempio, può perdere le sue proprietà funzionali senza alcuna alterazione chimica. E nella chimica ordinaria ciò non si verifica perché una molecola che resti "chimicamente" sempre la stessa mantiene normalmente le sue proprietà. Potremmo parlare di "proprietà aggiuntive" in questi casi? Ne dubito, a meno che non si definisca opportunamente l'aggettivo "aggiuntivo". E c'è un altro aspetto nella complessità che può cambiare le carte in tavola ed estrarre, al limite, dalle ordinarie leggi fisiche effetti imprevedibili, senza bisogno di ricorrere ad ambigue "emergenze". È noto che se in un sistema ci sono vari sottosistemi (almeno tre) che operano (per semplificare: che oscillano ciascuno secondo un proprio modo) in modo indipendente, l'evoluzione del sistema non è caotica ed il suo comportamento risulterà dalla somma dei vari modi di oscillazione presenti. Se però tra i vari modi di oscillazione vi è una stretta interazione, se cioè l'evoluzione di ciascun modo dipende in ogni istante non solo dal proprio stato, ma anche da quello degli altri, possono comparire eventi caotici. Questo, per esempio, è il caso della turbolenza che compare in un liquido viscoso contenuto tra due cilindri concentrici che ruotano a diversa velocità. E nei sistemi biologici l'attività dei sotto- sistemi componenti è spesso fortemente accoppiata. Del resto Azzone sa bene queste cose. Le pagine che scrive sulla teoria dell'informazione, sulla termodinamica di non-equilibrio, soprattutto in regime non-lineare e sul caos deterministico sono di singolare chiarezza e acutezza. Un altro punto di notevole interesse, nel discorso di Azzone, è legato all'idea che l'evoluzione assomigli più a un processo storico che ad un processo regolato e determinato da leggi naturali. Si e già detto, del resto, che Azzone definisce una "biologia evoluzionistica" che si identifica, in qualche modo, con la storia. Naturalmente tutto sta a chiarire cosa si intenda esattamente con il termine "processo storico". Se ne può dare certo una definizione così limitativa da farvi rientrare anche l'evoluzione biologica. Ma poiché tutti i sistemi, anche quelli inanimati, evolvono, e tale evoluzione può sempre essere condizionata e regolata dalle condizioni ambientali, spesso casuali, tutte le scienze naturali finirebbero, al limite, per essere scienze storiche. E se è vero che nei processi storici non si possono formulare leggi generali, come si possono, nella biologia evoluzionistica, formulare leggi scientifiche, sia pure "aggiuntive"? Mi pare che il vero problema della biologia d'oggi non sia tanto se le "leggi biologiche" siano riducibili o meno alle leggi della fisica e della chimica, quanto piuttosto se siano possibili "leggi biologiche" e se lo sono, quale sia la loro struttura, la loro legittimità e la loro compatibilità con la "storia". Credo tuttavia che, a conti fatti, il mio punto di vista sia molto vicino a quello di Azzone. Nella sostanza concordo con la maggior parte dei giudizi espressi nel testo qui recensito, che resta un ottimo libro meritevole di una lettura, anche perché risulta estremamente stimolante.
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