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I nostri anni stentano a produrre miti di significativa grandezza, ma ne fanno un grande consumo. Tra i luoghi mitici, recenti ma indispensabili, c’è il West americano, dove tutte le avventure ridiventano possibili e dove sembrano trovare una spettacolare reincarnazione temi classici quali quelli dell’eroe, della vergine e della bestia. Animale mitico per eccellenza è il bisonte, moderno Minotauro delle praterie… Questa onnipresenza del mito, oggetto della continua e libera riscrittura che ne fanno la fantasia, la letteratura e il cinema, trova un corrispettivo nella originale struttura di questo libro, che è al tempo stesso una rivisitazione storica, una piccola enciclopedia fitta di dati e di informazioni, una reverie affettuosa, un romanzo che corre al galoppo, una ballata popolare, un teatrino dei pupi. Alla caccia di un favoleggiato Bisonte Bianco, imprendibile divinità muschiata dall’occhio maligno, ritroviamo infatti scrittori che sono appartenuti alla realtà storica (l’io narrante dice di chiamarsi Isacco Babel, e presto compare Hermann Melville), personaggi cinematografici (Shane, il cavaliere della valle solitaria che fu interpretato da Alan Ladd), figure leggendarie della Frontiera (Calamity Jane, David Crockett, Buffalo Bill, Custer, Geronimo, i pellerossa e i cowboy): insomma quella folla composita, più fittizia che reale, e tuttavia viva e vitale, che ad ogni impiego fantastico, anche arbitrario, sembra radicarsi ancora più profondamente nell’immaginario collettivo. Se il Bisonte Bianco, come il Minotauro e la Balena di Melville, rappresentano il mistero di quel che è diverso ed estraneo, un piacere combinatorio spinge l’autore a mescolare il documento e la finzione, il gioco e il sogno, la nostalgia dei grandi spazi e la consapevolezza di quanto di iperbolico e di segretamente elusivo si nasconda in ogni epica.
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